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01Il Genio di Palermo è una figura divina che, assieme a Santa Rosalia, rappresenta e protegge l’omonima città.

L’uomo dalla barba divisa rappresenterebbe, secondo Vincenzo Di Giovanni, Palermo, mentre il serpente che cerca nutrimento presso il suo petto, è Scipione l’Africano, che, dopo essere stato aiutato dai palermitani nella guerra contro i Cartaginesi, per gratitudine avrebbe donato alla città una conca aurea, con al centro una statua di guerriero che nutriva dal petto un serpente.
La conca aurea è rappresentata anche in una delle molteplici raffigurazioni del Genio sparse per la città, quella di Palermo u Nicu, situata presso Palazzo Pretorio.

Le sue dimensioni ridotte rispetto al Genio del Garraffo, gli valsero il nome di ‘Palermo il piccolo’, appunto. Di essa non si sa molto: né l’autore né la data in cui venne realizzata; venne ritrovata nel 1596, proprio nella cantine dell’edificio che ospita il Comune, e sistemata sul suo scalone monumentale, su un basamento in marmo grigio del Monte Billiemi. La piccola statua del Genio, in marmo di Carrara, affiora dalla conca, in porfido rosso, accompagnata da una stele funeraria e una scritta in latino che recita: ‘Palermo conca d’oro divora i suoi e nutre gli stranieri’. La struttura della conca dovrebbe infatti trarre ispirazione dalla Conca d’Oro, la vallata sui cui è sorta Palermo.

La curiosa iscrizione invece, sembra ricondurre l’eventuale appartenenza del Genio alla discendenza del dio Crono (per i Romani Saturno). Dio del tempo e dell’agricoltura, Saturno aveva la curiosa abitudine di divorare i suoi figli. Alcuni invece credono che tale motto declami la mescolanza etnica e culturale che ha caratterizzato la storia della città e che è rappresentata dal serpente.
Il serpente infatti, non assume simbologia negativa se non dopo l’arrivo dei Cristiani, tramite la raffigurazione della tentazione che ne fa l’Antico Testamento. Per i pagani, il serpente era emblema di prosperità, fertilità, prudenza e conoscenza: non a caso campeggia sul Bastone di Asclepio, a rappresentare la professione medica.

Altra trasposizione antica del Genio è sicuramente rappresentata dall’altorilievo sito all’ingresso del porto di via Emerico Amari. Il Genio del Molo, chiamato anche Genio del Cippo Smeriglio, da cui prese il nome per via del basamento (realizzato appunto dall’ingegner Mariano Smeriglio) in cui è stato posto nel XIV secolo, è una composizione marmorea di autore sconosciuto, risalente a prima del cippo. Dal 1590, venne posto presso il Molo Nuovo di Palermo, di fronte al Genio del XVI secolo, ora sito in Piazza Rivoluzione.
All’appello manca il maggiore degli otto: il Genio del Garaffo o Palermo lu Grandi.
La scultura in marmo di Carrara è stata realizzata da Pietro de Bonitate alla fine del XV secolo, e incastonata in un’edicola del XVII secolo, scolpita da Paolo Amato, e sita presso il noto mercato della Vucciria.
Del XVII secolo, è anche il rilievo scultorio del Genio di Villagrazia o di Villa Fernandez, creata sul modello del Genio del Porto.

Altri attributi del Genio, sono la corona, il cane, e lo scettro, altri elementi, simboli di rinnovamento, attribuiti ad Asclepio. Gli ultimi due in particolare, compaiono per la prima volta nel simulacro che compone la fontana del Genio sita presso Villa Giulia. Realizzata nel 1778 da Ignazio Marabitti su progetto di Nicolò Palma, è un’opera marmorea di 2,56 metri, incastonata nella vasca in pietra del Billiemi. Si distacca solo in parte dalle prime rappresentazioni del genio, assumendo una connotazione più prosaicamente legata alla simbologia socio-politica della città. Oltre allo scettro, simbolo regale e al cane, raffigurazione della fedeltà, il Genio di Villa Giulia tiene in mano un fascio littorio, ed è affiancato dall’aquila, insegna della città. Sulla roccia vi è una cornucopia, simbolo di abbondanza, uno scufo con la Triscele, che rappresenta la Sicilia, e una targa con un'iscrizione in latino che indica il ruolo di Palermo capitale. Su un'altra targa marmorea è inciso un distico in latino del poeta palermitano Giuseppe Delfino.

Questa versione del Genio ricorda molto, nella sua rappresentazione, l’affresco allegorico di Vito D'Anna del 1760 “Genio dell'Apoteosi di Palermo”, che decora la volta del salone da ballo di Palazzo Isnello.
Una delle più recenti rappresentazioni del Genio (XIX secolo), è quella che si trova in forma di mosaico presso la porta d’ingresso della Cappella Palatina. Qui, la figura divina è intenta a sorreggere un medaglione con i ritratti di Ferdinando III di Borbone e della moglie Maria Carolina; il serpente è, insieme al cane, ai suoi piedi e non più sul petto. Con il Genio di Piazza Rivoluzione, viene sancito il passaggio del nume da una raffigurazione mitico-religiosa, ad una rappresentazione laica, carica di significati politici e sociali.

Il Genio in questione, detto anche del Molo o della Fieravecchia, è una statua del XVI secolo posta sul basamento di una fontana del XIX secolo. Realizzata in marmo, da scultore anonimo, originariamente si trovava nella conca della terza fontana del Molo Nuovo. Durante i Moti del 1848, la piazza che lo ospita divenne teatro di sommosse e il simulacro, simbolo palermitano di libertà ed indipendenza: in quel periodo, il popolo in rivolta si infatti radunava intorno alla statua, che veniva ammantata in segno di protesta, con il Tricolore.

Esistono poi altre minori rappresentazioni del nume, ad esempio quella presente in un bassorilievo collocato proprio sull'ingresso del numero civico 108 di via Oreto. Il Genio è inoltre protagonista di una complessa scena allegorica, attribuita al palermitano Antonio Grano, affrescata sulla parete destra della cappella di Santa Rosalia, sita nella Chiesa del Gesù. Qui il Genio viene raffigurato associato alle figure del fiume Oreto, della ninfa del Gabriele e di un angelo, inviato da Santa Rosalia per allontanare il contagio della peste.

Autore | Enrica Bartalotta
 

Foto di Mario Algozzino