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Prefazione di Pippo Gurrieri

La lettura dei componimenti di Giovanni Canzoneri suscita sin dalle prime strofe un forte sentimento di attaccamento a questa terra che è la Sicilia, luogo natìo dell’autore, oggi costretto all’esilio emigrante secondo un copione scritto e poi diretto dai poteri coloniali nel corso dell’ormai secolo e mezzo dall’annessione. Terra oltraggiata e vilipesa sia ieri che oggi, in un continuo scivolare della storia dentro i binari di un capitalismo originale, politico e mafioso, economico e militare e delle sue due principali “questioni”: quella meridionale e quella sociale. 
La forma espressiva di Canzoneri ci rimanda a quella scuola siciliana di poesia politica che, da Ignazio Buttitta a Santo Calì, passando per Vito Tartaro – e per i tanti Vito Tartaro che oggi rischiano di essere dimenticati – ha marcato l’impegno di un fronte di intellettuali puri e spurii, schierati dalla parte delle classi subalterne, da cui alcuni di loro stessi provenivano, e della giustizia sociale, e di cui oggi si sente maledettamente la mancanza. E la sentono particolarmente le classi oppresse di quest’isola, con le loro pene e i loro tentativi di liberarsene, i giovani stretti nel ricatto tra rassegnarsi o partire, gli insofferenti che danno vita a fuochi di ribellione che il potere regolarmente e con i mezzi rozzi e violenti di sempre, cerca di spegnere.
Canzoneri, a dispetto dello stile e dei temi, è un giovane, fa parte di una generazione che non vuol mangiare di questa pasta, e perciò stesso è emblema di una possibile rinascita di una poesia siciliana di resistenza, di denuncia, di lotta, capace di fornire, come gli autori citati sopra, strumenti letterari e artistici fortemente ancorati alla profonda cultura del popolo, destinati ad alimentare un pathos individuale e collettivo produttore di riflessione e presa di coscienza, quindi impegno e partecipazione, quindi… ça va sans dire, pericoloso.
E’ anche grazie a questa poesia se momenti noti, e soprattutto meno noti, della storia siciliana, e della interminabile vicenda delle classi sfruttate da sempre in lotta per emanciparsi della catene della schiavitù, hanno trovato il modo di transitare nella mitologia, diventando eterni e indistruttibili. Come dita puntate sulla condizione sociale, e, senza retorica, sui responsabili di quel fatto concreto che si chiama ancora sfruttamento, quella poesia ha accompagnato per secoli l’affannosa e appassionata ricerca delle modalità per abolirlo.
Quella manifestata da questa “scuola”, di cui Canzoneri, sgomitando e forte delle sue sole forze, a tutti gli effetti fa parte, è una sensibilità a cui forse il termine “politica” non rende giustizia, perché il poeta, una volta incamminatosi per i sentieri della sua forte espressività, riesce a transitare dal fatto storico, dalla biografia, all’arte più sublime. Ne è un esempio, in questa raccolta, “Tristizza d’amuri”, che coniuga la delicatezza del verso alla rappresentazione classica, e che completa la delicata e forte composizione su Angelina Romano, ma anche quella altrettanto ammirevole su Maria Occhipinti.
Il lettore troverà nelle pagine che seguono, veri e propri poemi, racconti più o meno in versi, una verve da vero cavaliere errante che valica i confini naturali, da Nord a Sud e da Ovest a Est, di quest’Isola continente, paradigma della storia non solo sua, ieri come oggi. E se nel tragitto il nostro incontra una base militare, un corteo, o s’imbatte in un’ingiustizia, non si gira dall’altro lato, ma vi affonda i suoi artigli, lasciando il segno.
Per questo ci piace, per questo riteniamo che la poesia siciliana abbia trovato il suo nuovo cantore.

Chiddu chi sentu/Quello che sento
di Giovanni Canzoneri

Edizioni Sicilia Punto L

ISBN 978 88 942384 0 2

€6,00