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01Oggi ricorre l’anniversario della morte di Rocco Chinnici, magistrato di Palermo, il padre del pool antimafia di cui faranno parte Giovanni FalconePaolo Borsellino. Sono passati ben 31 anni esatti, dall’autobomba che trucidò il famoso magistrato insieme agli uomini della scorta dinanzi casa a Palermo.

La sua terribile morte aprirà la stagione degli attentati contro coloro che combattevano la mafia siciliana al cui vertice c’erano Totò Riina e Bernando Provenzano: dopo di lui furono trucidati in vario modo Cesare Terranova, Gaetano Costa, Emanuele Basile, Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Beppe Montana, Ninni Cassarà, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

E’ Chinnici, come dicevamo all’inizio, l’ideatore  del pool antimafia, alla cui guida del 1979, costruisce una squadra “segreta” di vera e propria aggressione alla mafia.

Il magistrato palermitano conduce dal 1982 le indagini sul Rapporto dei 162, che vede tra i principali ideatori Cassarà e Montana, poi assassinati entrambi. Nel rapporto una mappatura della mafia siciliana con vertici e sicari: tra i nomi Greco, Riina, Provenzano, Montalto, Madonia. Da quel rapporto scaturiranno oltre 200 mandati di cattura e che sarà il punto di riferimento del futuromaxi- processo.

L’importanza di Rocco Chinnici fu, dunque, fondamentale per la lotta alla mafia: le sue intuizioni furono dei punti cardini delle future indagini della criminalità. A volte nell’”ombra”, dopo l’uccisione di Falcone e Borsellino, Chinnici rappresenta il primo vero sfidante della banda dei corleonesi di Riina, i quali, intuito il “pericolo”, lo tolgono di mezzo senza pietà.

A lui il ricordo, in una giornata in cui, lotta alla mafia e “martiri”, devono essere un tutt’uno.

“La cosa peggiore che possa accadere è essere ucciso. Io non ho paura della morte e, anche se cammino con la scorta, so benissimo che possono colpirmi in ogni momento. Spero che, se dovesse accadere, non succeda nulla agli uomini della mia scorta. Per un Magistrato come me è normale considerarsi nel mirino delle cosche mafiose. Ma questo non impedisce né a me né agli altri giudici di continuare a lavorare”.

Danilo Loria

Strettoweb