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1317636572_9d2d7d52e1c8d0b7ce012b83837f96ab.wix_mpLa poetessa siciliana, definita “la capinera di Noto” per alcune somiglianze con le vicende biografiche dell’eroina dell’omonimo romanzo verghiano, fu una bambina sensitiva e precocemente ispirata. Il padre, noto avvocato e patriota frammassone impegnato in ruoli di primo piano nelle rivoluzioni del 1848 e del 1860, si compiaceva di farla esibire nei salotti e nelle accademie con le sue poesie improvvisate su temi dettati in modo estemporaneo. 
Dopo qualche anno in un collegio laico per signorine, nel quale imparò versificazione e un po’ di francese mentre – com’ebbe a lagnarsi in seguito – solo ai suoi fratelli fu insegnato seriamente anche il Latino, le fu messo accanto come precettore un canonico dotto e zelante, Corrado Sbano, allo scopo di istruirla e insieme disciplinarne gli slanci del carattere malinconico e dell’estro focoso. A quattordici anni cominciò a prendere lezioni di piano dal venticinquenne Ascenso Mauceri, diplomato al Conservatorio di Napoli, vicino all’ambiente del Ministro Matteo Raeli – l’estensore della Legge sulle Guarentigie – e autore di drammi storici che saranno rappresentati alla Fenice di Venezia. Fu subito innamoramento tra queste due giovani promesse del Campanile già Capovalle della Sicilia borbonica, questi due figli del secolo ammalato di byronismo. Malgrado la differenza di età e anche di status il bell’Ascenso, alto, biondo, dai modi aristocratici, l’aria sofferta da bohémien, era un intellettuale di sicuro avvenire, pupillo del Ministro e cicisbeo delle donne di casa Raeli, salotto esclusivo della città. Se in un primo momento la famiglia Coffa acconsentì al fidanzamento, sottoscrivendo la promessa di matrimonio, successivamente impose alla figlia di troncare la relazione e sposare, a diciotto anni, un partito più vantaggioso, Giorgio Morana, ricco proprietario terriero di Ragusa. Sarà lui a recluderla nella casa del padre, un vecchio, rozzo e avaro despota il quale le impedirà persino di scrivere, ritenendo che “lo scrivere rende le donne disoneste”1. Sarà costretta a scrivere le sue poesie di notte, nella sua camera da letto, alla flebile luce di una candela, mentre il suocero aprirà e distruggerà gran parte della corrispondenza a lei indirizzata. Intanto, tra le continue gravidanze che tormentano il suo gracile corpo, il dolore per la morte di due figlie in tenerissima età, la cura dei figli e i pesanti lavori di casa, la malmariée intreccerà una relazione epistolare con l’orgoglioso fidanzato di un tempo che non le perdonerà mai la supina resa al volere dei genitori e il rifiuto della “fuitina” (la fuga a scopo di matrimonio) da lui proposta a suo tempo; non si presenterà nemmeno all’appuntamento che lei, già donna sposata e più volte madre, gli darà, disposta a tutto. 
Mariannina sarà così costretta a vivere una vita sdoppiata, iscrivendosi di nascosto ad associazioni e accademie italiane e straniere e pubblicando, a volte con uno pseudonimo, per riviste nazionali come La donna e la famiglia di Genova. L’amicizia con un dotto e geniale medico siciliano, Giuseppe Migneco, detto dai seguaci “Sapiente Maestro”, dai nemici “Cagliostro il piccolo”, originario di Augusta e poi residente a Catania, omeopata e magnetista, famoso per le efficaci cure prestate in occasione delle epidemie di colera, più volte esiliato per “esercizio di arte diabolica” e “spiritismo”, la introdurrà agli arcani del sonnambulismo e del magnetismo animale o messmerismo, anatemizzati dal Papa e coltivati all’interno di élites massoniche democratiche. Saranno questi i sistemi, prodromi della successiva psicanalisi, ai quali la poetessa ricorrerà per cercare di curare le malattie e i disagi del suo corpo e della sua psiche. Mariannina si iscriverà a diverse Società occultiste e teosofiche italiane e straniere e, attraverso lo stesso Migneco e un suo discepolo netino, il dott. Lucio Bonfanti, medico omeopata e democratico del 1860, sarà introdotta, con ruoli probabilmente di primo piano, in logge massoniche swedenborghiane, mistico-teosofiche e magnetiste. Ne nascerà l’ultima straordinaria, purtroppo breve, stagione poetica, fitta di riferimenti simbolici al “gran concetto” e improntata alla “protesta metafisica”, dopo la prima giovanile poesia patriottica di maniera e l’intermedia fase intimista tardo-romantica. Prostrata dalle emorragie, probabile conseguenza di fibromi all’utero, abbandonerà la casa ragusana del suocero rifugiandosi a Noto, nella casa dei genitori, che non esiteranno a cacciarla via perché non ricada su di loro il disonore della separazione dal marito e dai figli. Finirà i suoi giorni tra la fame e gli stenti, assistita solo dall’anziano medico: nessun familiare vorrà pagare le prestazioni di un chirurgo catanese il cui intervento avrebbe potuto probabilmente salvarle la vita. Pochi mesi prima di morire, quando la famiglia ragusana le porta via il figlio che alleviava la sua solitudine e confortava i suoi ultimi giorni di vita, grida in alcune lettere la sua ferma volontà di divorziare, mentre quello del divorzio è un istituto ancora molto di là da venire. La sua rassegnazione si trasforma in odio verso i genitori, i cui voleri ha supinamente eseguito, la sua obbedienza filiale si tramuta in desiderio di vendetta; giunge a invocare Dio perché le conceda ancora qualche giorno di vita per rendere pubbliche le violenze, le manomissioni, le subornazioni, le umiliazioni subite che la conducono alla morte. Tra le sue ultime volontà, affidate al medico curante, c’è che si ordinino le sue poesie secondo “l’immortal concetto”, tenuto avvolto in una serie di allegorie e di simboli, non oscuri solo agli iniziati e fraintesi da una critica per lo più locale, incapace di scorgere al di là della facile chiave di lettura di stampo tardo-romantico. Malgrado la fama di “pazza”, spiritista e sonnambula diffusasi negli ultimi tempi della sua vita, la sua città, memore di quanto da lei fatto quando fu tolto a Noto il capovallato in favore di Siracusa, dichiarò il lutto cittadino. Il Comune si assunse le spese dei solenni funerali e le fece erigere la statua in marmo di Carrara ancora oggi in Piazzetta d’Ercole, mentre i “fratelli” dell’Elorina, che parteciparono al funerale della poetessa portando le insegne solenni, si  prendevano cura di farne imbalsamare il corpo. Nessuno della famiglia seguì il feretro, ma una folla di autorità e gente comune, accorsa a rendere l’estremo commosso omaggio alla “Saffo netina”, che sfilava per l’ultima volta tra le strade e i monumenti del “giardino di pietra”, la sua città barocca.

1 Lettera di Mariannina a Ascenso, Ragusa 17-I-1870

Fonti:
In memoria della poetessa M. C. C. in Morana, Prose e poesie, pubblicate a cura e spese del Municipio di Ragusa, Ragusa, Piccitto e Antoci, 1878
Filippo Pennavaria, Sopra un caso d’isterismo acuto con estasi e sognazione spontanea accaduto in persona della insigne poetessa M. C. C. in Morana – Considerazioni medico filosofiche, Ragusa, Tip. Piccitto e Antoci, 1878
Vincenzo Coffa, Lamento dell’anima a mia sorella M. C., versi, Noto, Zammit, 1879
Corrado Sbano, Memorie e giudizi intorno alla poetessa M. C. in Morana di Noto, Noto, Tip. Zammit, 1879
Vincenzo Coffa Caruso, Rimembranze (Iuvenilia), Noto, Tip. Zammit, 1890
F. Genovesi Caruso, Storia d’una martire (M. C. C.), con prefazione di Giuseppe Sergi, Napoli, Chiurazzi, 1900
Giuseppe Leanti, Una poetessa della patria e del dolore – M. C. C., Noto, Zammit, 1923
Carmelo Sgroi, Lettere di M. C. C. a Mario Rapisardi, estratto dall’ “Archivio storico per la Sicilia orientale”, Catania, Tip. Zuccarello e Izzi, 1931
Carmelo Sgroi, M. C. C. e Giuseppe Macherione (con documenti inediti), Siracusa, Tip. Littoriale, 1934
Benedetto Croce, Pagine sparse, Napoli, Riccardo Ricciardi Editore, 1943, vol. III
Gino Raya, M. C., Lettere ad Ascenso, Siracusa, Ciranna, 1957
Francesco Lombardo, M. C. e C. Sammartino in Fileti, ed altri riflessi di vita d’arte e d’ambiente della poetessa netina, Noto, Tip. dell’Autore, 1959
Gioacchino Santocono Russo, Ottocento netino: nel primo centenario della morte di Mariannina Coffa, “Netum”, febbraio-marzo 1977
Teresa Carpinteri, L’eringio (Romanzo), Palermo, Flaccovio, 1978
Biagio Iacono (a cura di), M. C., Poesie scelte, con Introduzione di G. Raya, Noto, Sicula Editrice – Netum, 1987
Rita Verdirame, Finzione rassegnazione e rivolta. L’immagine femminile nella letteratura dell’Ottocento, Papiro, Enna, 1990
Miriam Di Stefano (a cura di), Scritti inediti e rari di M. C., Noto, Arti Grafiche San Corrado, 1996
Marinella Fiume, Sibilla arcana. Mariannina Coffa (1841 – 1878), Edizioni Lussografica, Caltanissetta, 2000