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01“In guardia vile marrano, assaggerai la punta della mia fedele durlindana”. Questa frase urlata da Orlando a Rinaldo, mentre sguaina la spada chiamata “durlindana” secondo la tradizione del ciclo carolingio, si ripete spesso in ogni “cuntu” (racconto) dell’Òpra dî Pupi Siciliani. Il piacere di risentirla insieme al contesto dello spettacolo si deve di recente alla rappresentazione di “Orlando e Beatrice a Parigi”, un “cuntu" animato da Vincenzo Garifo a Partinico (in Sicilia nella provincia di Palermo) lo scorso 24 maggio nel teatrino all’interno della Real Cantina Borbonica per promuovere una raccolta di fondi a favore dell’AIL, l’ Associazione Italiana contro Leucemie, Linfomi e Mieloma. La vicenda narra della perenne discordia tra Orlando e Rinaldo, entrambi innamorati di Angelica, alla vigilia della battaglia nei pressi di Parigi tra i cristiani ed i Mori guidati da re Agramante; Carlo Magno affida la donna al vecchio Namo di Baviera per evitare la contesa e la promette a chi dei due si dimostrerà più valoroso in battaglia. La navata centrale della Real Cantina Borbonica (che fu il primo esempio al mondo di cantina sociale voluta da Ferdinando I di Borbone nel 1803) gremita di un folto pubblico fa da eco allo sbattere dei tacchi del puparo sul tavolaccio del palcoscenico che simula i movimenti concitati del combattimento tra i due paladini, mentre i bambini seduti i primi fila, messi da parte i palloncini colorati ricevuti durante l’attesa dell’evento, seguono con attenzione la vicenda…una tantum lontani da telecomandi, cellulari e altre diavolerie tecnologiche, dando un odierno segnale di accoglienza positiva che capovolge un periodo di involuzione con il rifiuto del pubblico per questo tipo di teatro popolare e la sua conseguente crisi, che si verificò negli anni Cinquanta con l’arrivo della televisione e dei mass media, e prima ancora di essa negli anni Trenta con l’avvento del cinema. Vincenzo Garifo è un uomo cordiale e disponibile, vissuto senza padre dall’età di due anni, che con pathos e suggestione rinnova quell’arte appresa dietro anni di pratica del grande maestro e puparo Nino Canino di Partinico, di recente scomparso. Il capostipite di questa tradizione di pupari è stato Don Liberto Canino, figlio di un sarto ed abile artigiano, che insieme a Don Gaetano Greco cominciò a realizzare personalmente i pupi per i suoi spettacoli vestendoli di abiti e di armature e costruendo guerrieri cristiani e saraceni, sulla base degli affreschi esistenti a Palazzo Reale e allo Steri a Palermo. La sua arte fu tramandata e continuata dai figli e dai nipoti che portarono gli spettacoli non solo in giro per i paesi siciliani come Balestrate, Castellammare del Golfo, Alcamo, Trapani, Sciacca, Termini Imerese, Carini, Partinico, ma anche nei Paesi Scandinavi e in Francia, dove riscossero un grande successo. Nel 1953 Partinico divenne la sede stabile per il teatro dei pupi di Nino Canino. Negli anni ’70 la sua famiglia vendette parte della propria collezione al Museo Internazionale delle Marionette “Antonio Pasqualino” di Palermo, mentre nello stesso periodo Nino Canino cominciò ad essere affiancato nella sua opera di cuntastorie da Vincenzo Garifo, che già a partire dagli anni ’60 aveva cominciato a raccogliere marionette da varie collezioni mettendo in piedi un proprio teatrino nella sua casa di campagna. Garifo, che rifiuta l’appellativo di erede di Nino Canino, prosegue l’opera dell’antico “oprante, autodefinendosi “macellaio per professione puparo nelle vene”, continuando a dare la vita ai cunti dei paladini di Francia,agitando aste, scudi e spade e sbattendo i tacchi sul tavolaccio e soprattutto dando voce al contesto teatrale secondo un racconto orale, senza seguire un testo scritto. Si deve principalmente distinguere il burattino, la marionetta, il pupo. Il burattino è animato dal basso, direttamente da pollice, indice, medio della mano o da asticelle. La marionetta è animata dall'alto, esclusivamente per mezzo di fili. Il pupo è anch'esso animato dall'alto, ma, al posto dei fili, ha per muovere la testa e il braccio destro due sottili aste di metallo.  L'Òpra dî Pupi è un tipo di teatro delle marionette, i cui protagonisti sono Carlo Magno e i suoi paladini ed è tipica della tradizione siciliana dei cuntastori. Le gesta di questi personaggi sono trattate attraverso la rielaborazione del materiale contenuto nei romanzi e nei poemi del ciclo carolingio. Le marionette sono appunto dette pupi (dal latino "pupus" che significa bambino). L'Opera dei Pupi si affermò nell'Italia meridionale: nella prima metà del XIX secolo a Napoli, grazie a Giuseppina d’Errico, chiamata "Donna Peppa" e in Sicilia, tra la seconda metà del XIX e la prima metà del XX secolo.Nell’isola si distinguono due tradizioni dell’opera: quella “palermitana” diffusa nella Sicilia occidentale e quella “catanese” diffusa nella Sicilia orientale. Esse presentano differenze tecniche: nella prima, il pupo ha un’altezza compresa tra 80 e 100 cm e il peso è di circa 10 chili; ha gambe articolate che gli consentono una serie di movimenti, quali ad esempio inginocchiarsi, ed è manovrato di lato, per cui chi lo guida occupa un posto parallelo alla scena. Nella seconda invece l’esemplare raggiunge i 140 cm d’altezza e 30 chili di peso, è più possente ma meno dinamico. Il burattino è mosso dall’alto pertanto i manovratori stanno in un punto rialzato rispetto alla scena.  Nell'Opera dei Pupi si ha la trasmissione di alti codici di comportamento dalle antiche origini che hanno interessato il popolo siciliano, codici come la cavalleria, il senso dell'onore, la lotta per la giustizia e la fede, gli intrecci amorosi e la brama di primeggiare. Tale forma teatrale, pur nella sua semplicità, ha permesso in un certo senso la divulgazione dell'epopea. Le fonti principali per questo tema sono le Chansons de Geste ed il romanzo arturiano. In tempi molto recenti ha fatto molto discutere gli “opranti” puristi l’idea di fare “opera dei pupi antimafia” di Angelo Sicilia, ricercatore e fondatore del Museo dell’Opera dei pupi siciliani di Caltavuturo, ispirandosi anzichè ai paladini di Francia a tutte le storie dei siciliano che con coraggio hanno combattuto contro Cosa Nostra, con  nuovi pupi, ispirati a nuovi personaggi come Garibaldi,  Peppino Impastato, padre Puglisi, Falcone e Borsellino. L’idea di questi racconti, benché ispirata dal coraggio, dai valori universali e dall’imput di dare nuovo vigore e rinnovata tradizione con personaggi che non siano anacronistici per il pubblico attuale, è comunque alternativa alla tradizionale opera dei pupi e come in ogni genere, ci sono le varianti con le proprie originali motivazioni.                                                                                                                                  Davanti la Real cantina Borbonica, in alcune stanze dell’antico podere reale,  concesse nel 2009 dal comune di Partinico, si trovano le “Collezioni di Pupi Siciliani delle famiglie Canino e Garifo”, aperte al pubblico insieme al contestuale Museo delle Tradizioni storiche, culturali ed agricole. L’esposizione della famiglia Canino è tutelata dalla Sopraintendenza ai Beni Culturali e Ambientali dal 1989 per la presenza di alcuni pezzi pregiati, tra cui spiccano un pupo siciliano, la cui testa sembra proprio l’autoritratto del giovane Nino Canino, alcuni antichi pupi con stupende acconciature tra cui una storica rappresentante Peppe Nappa, e manoscritti in calligrafia sui quali venivano scritti i copioni/canovacci dei cunti.  Questa ubicazione delle collezioni Canino e Garifo, molto apprezzate da turisti e scolaresche in visita, risulta provvisoria alla sede di assegnazione definitiva all’interno di Palazzo Ram a Partinico, un’antica masseria del 1500, confiscata alla mafia e affidata al comune con sua destinazione d’uso a sede di rappresentanza e in attesa di intervento di ristrutturazione. Grazie alla passione e all’impegno della famiglia Canino e del signor Garifo questa splendida tradizione dell’Opra di Pupi, dichiarata nel 2001 dall’UNESCO “Capolavoro del Patrimonio orale e immateriale dell’Umanità”, viene custodita e tramandata nella speranza che ne rimanga viva la più profonda essenza e l’incredibile bellezza. L’auspicio più grande è diffonderne la cultura, inculcandone la conoscenza e la promozione non solo tra le istituzioni pubbliche, ma anche ai giovani studenti, nuovi germi che contribuiranno a seminare questa conoscenza e passione, da tramandare da madre in figlio, affinchè le tradizioni popolari del nostro territorio non vadano disperse e diffondere e mantenere viva questa particolare forma teatrale, che per tutti i pupari coincide con arte, passione, mestiere e vita.

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​Di Giuseppe Russo