Sei su Telegram? Ti piacciono le nostre notizie? Segui il canale di SiciliaFan! Iscriviti, cliccando qui!
UNISCITI

La mafia fa schifo. Punto.
Scusatemi se esordisco con queste parole, ma è il concetto che voglio esprimere chiaro fin dall'inizio. Non esiste una mafia dal doppio volto. Non c'è buono e cattivo. Non c'è romantico e crudele. Non basteranno neppure 1000 serie televisive a raddolcire la crudeltà, l'ignoranza e la prepotenza che si celano dietro la parola mafia.

Come potremmo altrimenti spiegare vittime come Rosario Livatino, giovane magistrato. Aveva solo 38 anni quando la mafia lo aspettò vigliaccamente sulla superstrada Canicattì-Agrigento. Era il 21 settembre 1990 e la Sicilia perse un figlio dei più dotati e generosi. Strappatole dal petto da mani bigotte, ignoranti e che mai hanno cercato il contatto con la nuda terra madre delle campagne.

 "Il sommo atto di giustizia è necessariamente sommo atto di amore se è giustizia vera, e viceversa se è amore autentico", sono queste le parole più belle che ricordo il magistrato ebbe a pronunciare nella sua breve carriera.

Egli metteva tutto se stesso in quello che faceva. E gli riusciva bene. Prova ne è che lo fecero fuori. E mentre molti incapaci collezionano scranni in parlamento e dissetano la loro voglia di potere a suon di scroscianti banconote, parte del popolo (quello che non si perde dietro false promesse) piange lacrime amare di ingiustizia e soffre. Soffre per l'impossibilità di dialogare con lo stolto.

Rosario Livatino aveva provato a gettare un ponte tra queste realtà.

Ma si è trovato (alla stregua di tante anime pie e servitrici dello stato) isolato e braccato dalla mafia.

Il “magistrato ragazzo” era venuto alla luce il 3 ottobre 1952  ed eccelse fin da subito in istruzione e sagacia. Dopo le medie intraprese gli studi umanistici al Liceo Classico. Poi la laurea in giurisprudenza. Passo, quest'ultimo, che non rappresentò un punto di arrivo quanto un gradino di lancio per arricchire sempre di più il suo patrimonio culturale.

Poteva quindi non vincere un concorso di stato?

Si ritrovò così a lavorare presso l'Ufficio del Registro di Agrigento. In soli 8 mesi conquistò l'affetto e la stima di tutti i suoi colleghi e superiori. A loro testimonianza era: instancabile, affidabile, affabile e modesto.

Poi passò in magistratura.
Amore al quale consacrò tutto se stesso per difendere la dignità dell'uomo e per difendere la civiltà dalle barbarie messe in atto dai mafiosi.

Era invero un magistrato a tempo pieno. Uno di quelli che il lavoro se lo portano a casa. Uno di quelli che riuscivano a contare le ore di sonno sulle dita di una mano.

Certamente i momenti di sconforto non gli mancarono.
Era pur sempre un uomo. E ci fa grande tenerezza sapere dai suoi diari personali che trovasse conforto e ristoro nelle giornate trascorse in compagnia dei suoi genitori: dott. Vincenzo e Rosalia Corbo. "Bella giornata trascorsa con i genitori!" – soleva scrivere di tanto in tanto nel suo diario. Come a ricordare a se stesso che nella vita c'era anche qualcosa di buono e bello attorno a Lui. Qualcosa per il quale valeva la pena lottare e morire.

E lui sapeva a cosa andava in contro.

Non sono nostre congetture, ma affermazioni lucide che possiamo fare dopo aver letto i suoi pensieri trasposti su carta.

Rosario Livatino fu un vero esempio di vita.
Mai sopra le righe. Mai a far valere la sua forza ed importanza per ottenere privilegi (fosse pure il saltar una fila alle poste).

Siate voi stessi a leggere direttamente le sue parole. Ecco due link che sicuramente vi emozioneranno:

Conferenza tenuta dal dott. Rosario Livatino il 30 aprile 1986 a Canicattì, nel salone delle suore vocazioniste;

Conferenza tenuta dal giudice Rosario Livatino il 7 aprile 1984 presso il Rotary Club di Canicattì;

Lo vorremmo ricordare trovando le parole più belle che l'italiano possa offrirci.
Ma non ne siamo capaci. Riconosciamo i nostri limiti e prendiamo in prestito quelle della stele dedicatagli dai Lions di Siracusa: "la sua vita esemplare assurge a simbolo di dirittura morale ed è, per tutti, richiamo e stimolo a quella tensione ideale, senza la quale non può che vincere la barbarie".

 

Viola Dante