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È stato beccato a rubare 15.000 euro dalla cassaforte dell'ufficio postale di Vasto (provincia di Chieti) in cui lavorava. A distanza di 5 anni dal fatto un 58enne è stato reintegrato dal giudice e Poste Italiane è stata condannata a pagare un anno di stipendi arretrati oltre alle spese legali. "Repubblica" racconta tutti i dettagli della controversa vicenda. Nel corso dell'estate 2012 l'uomo riuscì a sottrarre il denaro dalla cassaforte dell'ufficio e il furto venne scoperto grazie ad alcune intercettazioni ambientali e telefoniche risalenti a quel periodo. Sentendosi il fiato sul collo, il responsabile valutò se restituire il bottino e a quel punto gli inquirenti capirono che era stato effettivamente lui a sottrarre i soldi. Finito a processo per appropriazione indebita, nell'agosto scorso il 58enne è stato condannato in primo grado a un anno e nove mesi di carcere – pena sospesa – dal tribunale di Vasto ed è stato definitivamente licenziato da Poste Italiane.

Un paio di mesi dopo il furto, nell'ottobre 2012, la direzione trasferì il 58enne a Chieti. Scattate poi le misure cautelari disposte dal giudice delle indagini preliminari, il dipendente venne sospeso dal lavoro, ma il 12 maggio 2014 ottenne su istanza dei suoi avvocati – che da mesi inviavano decreti ingiuntivi per recuperare gli stipendi secondo loro dovuti – un primo reintegro formale. Solo con la sentenza di condanna penale in primo grado, il 22 agosto dello scorso anno, Poste fa scattare il licenziamento, subito impugnato dai legali dell'uomo. Paradossalmente, il giudice del lavoro ha accolto il ricorso contro il provvedimento di Poste sostenendo che l'uomo deve essere reintegrato e indennizzato perché licenziato troppo tardi. Secondo il giudice del Lavoro del tribunale di Chieti, Ilaria Pozzo, Poste Italiane anziché trasferirlo, sospenderlo e attendere la fine del processo di primo grado, avrebbe dovuto licenziarlo in tronco subito.
 
"La società disponeva sin dal 2012 di tutti i dati sufficienti per procedere a una contestazione disciplinare. L'attesa della sentenza di condanna, quindi, non si giustifica e la contestazione formale è irrimediabilmente tardiva", si legge nella sentenza. Insomma, essendo arrivato troppo tardi il licenziamento, nonostante la presenza di prove certe, lo stesso deve essere invalidato e il dipendente reintegrato, anche se condannato per appropriazione indebita. "Il giudice ha applicato un principio di civiltà, perché il fatto deve essere contestato tempestivamente al lavoratore altrimenti si annulla il diritto alla difesa. Basta pensare alla difficoltà di cercare testimoni su fatti vecchi un quinquennio. Non è la sentenza a essere assurda, sono loro ad aver agito in modo sbagliato", ha dichiarato l'avvocato Di Risio alla stampa locale.