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      Non mi è mai piaciuta l’omologazione di massa, ed ancor meno il rimanere prigioniero della cosiddetta società dell’immagine; società che spettacolarizzando ogni fatto, spesso anche irrilevante se non addirittura negativo, tende ad anteporre l’apparenza alla reale identità di ognuno di noi. Di taluni aspetti  di questo fenomeno mi sono reso personalmente conto in questi giorni nella mia città, Termini Imerese, dove alcuni lavoratori dello spettacolo (Ficarra, Picone, ed altri) stanno realizzando il film “L’ora legale”. – Al di là del lato squisitamente artistico, e dell’onesto impegno che va certamente riconosciuto a quanti a vario titolo si adoperano per la buona riuscita della produzione, ho dovuto registrare la spasmodica, quasi compulsiva  e il più delle volte indisponente ricerca di una foto,  (oggi anche selfie) con l’artista di turno. Artista spesso agguantato durante i vari break delle riprese, quasi con molestia se non con furore, e costretto ad immolarsi in nome del faticoso successo conquistato, per poi essere esibito sui vari social come un bottino di guerra od una preda di caccia.

E’ un fenomeno, si badi bene,  che coinvolge gente di tutte le età e dei più disparati ceti sociali. Quale lo scopo, a cosa può servire tutto ciò?  Scatta probabilmente in questi casi la cosiddetta voglia di esserci a tutti i costi, fors’anche il malcelato desiderio di non sentirsi degli esclusi; per tanti, in mancanza di altro, quasi una medaglia da appendere al petto e di cui vantarsi; magari millantando conoscenze o ancor peggio amicizie, con personaggi più o meno famosi o comunque di successo.

        Già, il successo; forse è proprio quella una delle chiavi di lettura di questo fenomeno. Il successo, la popolarità a tutti i costi; ovvero quello a cui tutti inconsciamente aspiriamo e che, complici internet ed i vari social, ci illudiamo di poter facilmente raggiungere. Essere diventati anche noi dei protagonisti di questo perverso circo mediatico, essere invidiati, raccogliere “like”, diventa il nostro obiettivo massimo. Ecco, quando pensiamo ciò, la nostra vera identità è già passata in secondo piano; ne abbiamo assunta un’altra, non corrispondente alla realtà ma fittizia. Siamo inconsapevolmente finiti anche noi, abili ed arruolati, in quell’ormai troppo vasto esercito di marionette, che ogni giorno combatte una impari lotta contro l’esser se stessi, per ricercare una propria identità.

      Non sarò certo io a fare ramanzine o morali, non ne ho i titoli; ed è una cosa che peraltro fanno meglio e da tempo tanti illustri antropologi, filosofi e psicologi. E’ pur vero però che, piuttosto che esibire come fiore all’occhiello una foto con un cantante, con un attore o con uno scrittore, sarebbe preferibile, oltre che più utile per la personale crescita di ognuno di noi, frequentare teatri, leggere, ascoltare buona musica, impegnarci in gesti anche semplici e concreti di solidarietà; accettando le sfide che il modernismo, a volte cinicamente, ci impone. Sarebbe, questo si, un ottimo antidoto per non scadere nella banalità, per non rimanere impigliati fra le reti della omologazione di massa “disertando” da quell’esercito di alieni contro il quale diversamente finiremo con il perdere qualsiasi battaglia.