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" Surfatari" siciliani: vite al buio. Nel secolo scorso la Sicilia è stata la principale produttrice mondiale di zolfo che veniva estratto, lavorato e trasportato via mare in tutto il mondo. Lo zolfo siciliano proveniente dalle miniere della provincia di Agrigento, Enna e Caltanissetta, era uno dei componenti maggiormente richiesti dall’industria chimica italiana ed europea. L’estrazione dello zolfo era una pratica dura e difficile in un’epoca in cui la tecnologia supportava con mezzi rudimentali il lavoro degli uomini che era purtroppo quasi completamente manuale. Si pensi a uomini ma anche a tanti bambini, perché il bisogno a quell’epoca costringeva ogni singolo componente della famiglia a contribuire al sostentamento, a lavorare in condizioni disumane nel sottosuolo alla luce fioca di poche lanterne e spesso completamente nudi. I minatori venivano calati nella cavità d’ingresso che portava direttamente alla galleria principale, quattro alla volta stretti, trattenendosi l’un l’altro in un precario equilibrio, sopra una pedana di legno traballante sostenuta da corde usurate dal continuo saliscendi. Più si scendeva e più la luce si affievoliva, era come essere inghiottiti dalle fauci di un mostro. Ad attenderli uno stanco ma festoso groviglio di compagni del turno appena terminato smanioso di riemergere dalle viscere della terra. Dopo il consueto passaggio delle lanterne, i “surfatari”, è così che venivano chiamati i minatori, da subito incupiti da un ambiente umido, ostile ed insidioso, respirando inizialmente con difficoltà un’aria rarefatta e polverosa, cominciavano ad assumere un atteggiamento guardingo ed attento perché a muntagna è traditura”, possibili fughe improvvise di gas o frane nelle gallerie potevano essere dietro l'angolo, quindi mai abbassare la guardia. Insomma interminabili ore segnate dalla fatica di un lavoro fisico impegnativo, picconate sulle rocce, spostamenti di materiali di risulta, contatto diretto con lo zolfo, tutto in una inquietante penombra. Si può dire che per i “surfatariuscire da quell’inferno alla fine del turno era come rinascere. Malgrado le difficoltà, quegli uomini facevano di tutto per tenersi stretto quel terribile lavoro, che comunque gli permetteva di sfamare i propri figli: un sacrificio di tanti padri di famiglia che non vedevano quasi mai la luce del sole.  Le zolfare erano distanti dai centri abitati e quindi i “surfatari” alla fine del lavoro erano costretti a tornare a piedi in paese camminando almeno un paio di ore, un percorso sempre pieno di gente, a causa dall’avvicendamento dei turni della miniera. Le lunghe file di fiammelle che illuminavano la strada durante la notte, davano la sensazione che ci fosse una processione religiosa, uomini stanchi, sporchi e sudati sulla via del ritorno incrociavano gli sguardi di coloro che invece si apprestavano a scendere nelle cavità della montagna, che camminavano a passo svelto respirando a pieni polmoni quell’aria fresca di cui presto avrebbero dovuto privarsi. Alcuni operai troppo stanchi per ritornare in paese, rimanevano invece in prossimità della miniera dove si adattavano a dormire in giacigli di paglia sistemati in grotte scavate nella roccia, come quelle del quartiere Sant’Anna a Caltanissetta. Verso la fine dell’800 i “surfatari” stanchi di essere sfruttati come schiavi, formarono dei gruppi di contestazione, i “fasci” e con dimostrazioni nelle piazze cominciarono a chiedere leggi che regolamentassero il settore, che elevassero l’età minima dei bambini a 14 anni, una diminuzione dell’orario di lavoro ed un salario minimo.  Il declino della fiorente attività dello zolfo cominciò in concomitanza della prima guerra mondiale che determinò la rarefazione della forza lavoro nelle miniere, unitamente alla concorrenza determinata dall’apertura del libero mercato europeo e globale che con il petrolio americano e successivamente quello arabo fece crollare i prezzi dello zolfo e chiudere definitivamente le miniere siciliane. Musala, Zimbalio, Grottacalda Floristella, Giumentaro, per citarne alcune delle più conosciute, erano il fulcro dell’industria dello zolfo in Sicilia, oggi una memoria storica che è stata trasformata in sito turistico.