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Quello tra la Sicilia e il vino è un amore vero, ma che non è sempre stato tutto rose e fiori (o forse, tutto rose e vigne). Negli anni Ottanta la Sicilia contava una superficie coltivata a vite di 200mila ettari, quasi tutta tirata a tendone per produrre le maggiori quantità possibili. Vi erano 162 cantine sociali che lavoravano l’85% delle uve. Nel 1981 dai porti siciliani partirono quattro milioni e mezzo di ettolitri di vino ma, come spiega Bruno Donati in un libro del 2005, servivano a tagliare vini toscani e francesi.

C’erano poche case vinicole, le più famose erano Tasca D’Almerita e Duca di Salaparuta, che producevano poche etichette. “In Sicilia, infatti, mancava un vitigno di riferimento. E, senza di esso, di fatto la sua vitivinicultura non vantava una precisa identità”, scrive Donati, in un volume dedicato all’enologo Giacomo Tachis. Ci voleva un piemontese per scoprire un vitigno che facesse diventare famoso il vino siciliano nel mondo. Anzi, due piemontesi-

In una brochure di Duca di Salaparuta del 2014 si legge:

Un piemontese arrivato per caso in Sicilia negli anni Sessanta e destinato a diventare uno dei più grandi enologi italiani, per far occupare al Nero d’Avola il posto che gli compete, Franco Giacosa. Innamoratosi di questo vitigno, rimase sull’isola e completò qui gli studi universitari presentando una tesi di laurea quantomeno bizzarra: Le potenzialità economiche del Nero d’Avola”.

L’avventura del Nero d’Avola comincia nel 1982 quando Giacosa, enologo piemontese arruolato dalla casa vinicola Duca di Salaparuta, per la prima volta lo raccoglie per farne un vino nobile da bottiglia. Quell’uva, in realtà, esisteva da decenni, ma i contadini lo chiamavano “Calabrese“.

LEGGI ANCHE: I vitigni autoctoni siciliani

Giacosa, quindi, lavora al Nero d’Avola poi, nel 1992, arriva un altro enologo piemontese. Si chiama Giacomo Tachis e ha reso celebri vini come il Sassicaia e il Tignanello. Viene chiamato in Sicilia da Diego Planeta, che allora era presidente dell’Istituto Regionale della Vite e del Vino.

Quando assaggia il Nero d’Avola, Tachis scrive: “Se qualcosa di grande nascerà in Italia nei prossimi anni nascerà qui. E nascerà dal Nero d’Avola. È il principe della viticoltura siciliana“. Proprio un Nero D’Avola vince, a sorpresa, i tre bicchieri di una degustazione di enologi. E comincia così, negli anni Novanta, la “rivoluzione” siciliana del vino, destinata ai successi nel giro di un decennio.

La Sicilia ha il suo posto di rilievo con i suoi vini: Nero d’Avola, Inzolia, Carricante, Grillo, Marsala, Grecanico, arricchiti dai Cabernet, Chardonnay, Merlot, Pinot, Sauvignon e Sirah di importazione.

Prima, forse, nessuno pensava che la Sicilia potesse competere con il Piemonte o la Toscana. E invece è successo.

Fonte: Gaetano Savatteri – “Non c’è più la Sicilia di una volta”

 

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