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Il “caso” di Sciacca. Una sanguinosa faida tra i Signori di Sciacca e di Bivona si consumò tra il 1455 ed il 1529 quando la famiglia del Barone Giacomo Perollo di Sciacca, si scontrò con quella del Conte Sigismondo De Luna di Bivona. Il Barone Perollo, nipote di Adelasia, terza moglie di Ruggero II°, era esponente di una delle famiglie siciliane più ricche e potenti che vantava i favori del vicerè Ettore Pignatelli. Il conte De Luna era invece il Signore di Bivona, di Caltabellotta, di Caltavuturo e di Castellammare del Golfo, sposato con la nipote di Lorenzo il Magnifico e cugina di Papa Clemente VII.

Dopo diversi screzi che negli anni avevano caratterizzato i rapporti tra le due famiglie, la faida ebbe inizio quando i De Luna che al tempo si stavano occupando della liberazione del barone di Solunto rapito dal noto pirata Sinam Bassà, furono mortificati dal barone Giacomo Perollo che riuscì a farlo liberare senza pagare alcun riscatto. A seguito di tale grave offesa Sigismondo De Luna, il cui onore era stato irrimediabilmente compromesso dall’azione del Perollo, decise di regolare tale affronto ordinando un attacco militare alla città di Sciacca con il proposito di assassinare Giacomo Perollo ed i suoi fedelissimi. Giacomo, avendo scoperto le intenzioni del suo rivale, mandò il figlio Federico a chiedere rinforzi al Viceré Pignatelli e si barricò nel suo castello.

Le brigate del conte De Luna mossero alacremente su Sciacca massacrando lungo il cammino tutti i sostenitori dei Perollo. Dopo un breve assedio, il barone Giacomo fu costretto ad issare la bandiera sui merli della torre in segno di pace. Il conte De Luna profondamente contrariato da tale scelta fece sapere al barone Giacomo Perollo che avrebbe accettato la proposta di pace solo se egli “gli fosse venuto innanzi, genuflesso, a domandare perdono e baciargli il piede”. Non ricevendo alcuna risposta, il giorno seguente i De Luna espugnarono il castello ed uccisero Giacomo, il cui cadavere fu legato alla coda di un cavallo e fatto girare per tutte le vie della città come monito per la cittadinanza.

La notizia della barbara uccisione, arrivò al figlio Federico che stava nel frattempo tornando da Messina con il contingente di truppe che gli aveva affidato il Vicerè Pignatelli. A seguito di tale triste notizia il giovane Perollo si mise subito in marcia alla volta di Sciacca giurando che avrebbe ucciso De Luna e che gli avrebbe “strappato il cuore dal petto”. Il conte De Luna non essendo in condizione di fronteggiare il ben più numeroso esercito di Federico, scappò a Roma per cercare di ottenere, grazie all’intercessione di Papa Clemente VII, la grazia del re Carlo V. Le truppe di Federico Perollo attaccarono Bivona con una ferocia senza eguali, i bravi dei De Luna furono squartati ed i quarti esposti davanti alle case e le teste lasciate per strada in un fiume di sangue, e tantissimi bivonesi furono uccisi e le loro case saccheggiate.

A seguito di ciò Federico Perollo si reinsediò a Sciacca mentre Sigismondo dopo aver invano tentato di ottenere la grazia dal re Carlo V, che lo aveva condannato a morte, decise di porre fine alla sua vita buttandosi nel Tevere. Suo figlio Pietro De Luna fu invece graziato dal re a condizione che una volta ritornato a Bivona avesse pagato a Federico Perollo i danni da lui patiti a seguito dell’azione del padre.

A causa della faida tra i Perollo ed i De Luna, tra Sciacca e Bivona, perirono circa 20.000 persone.
Vincenzo Navarro, poeta di Ribera, scrisse nel 1850 un’opera sul conflitto tra i De Luna ed i Perollo.
Anche il poeta saccense Vincenzo Licata (1906-1996) scrisse un romanzo dialettale sulle lotte e le battaglie tra le famiglie De Luna e Perollo denominato ‘”U caso di Sciacca”.