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Leo Gullotta nel nuovo film “Quel posto nel tempo“: l’attore siciliano affronta il delicato tema dell’Alzheimer vestendo i panni di Mario, un padre che per ritrovare la memoria lascia il resort inglese dove si era rifugiato e torna a Napoli.

“Quel posto nel tempo” con Leo Gullotta

Un direttore d’orchestra dalla carriera prestigiosa, che non accetta di perdere la musica e i ricordi più preziosi. Una moglie portata via dalla violenza urbana, una figlia cresciuta da sola. L’avanzare della malattia, che cancella tutto. “L’Alzheimer è una coltre di buio e silenzio, ma ancora se ne sa troppo poco”, racconta Gullotta a Repubblica.

Il film, con la regia di Giuseppe Nuzzo, è prodotto da Eduardo e Giuseppe Angelone per Antracine, con la partecipazione di Gigi Savoia e Tomas Arana accanto a Giovanna Rei, Beatrice Arnera e Tina Femiano.

Quel posto nel tempo” è la terza tappa di un percorso iniziato da Nuzzo anni fa con un cortometraggio che aveva già come protagonista Leo Gullotta. L’attore aveva il ruolo di un padre che, essendo cosciente del proprio progressivo degrado intellettivo, lasciava dei messaggi alla figlia la quale lo stava assistendo essendo ormai impegnata nel ruolo di genitore del proprio genitore.

Era poi arrivato il documentario “Lettere a mia figlia – Manuale sull’Alzheimer” in qui ci si interrogava sul tema del rapporto con i pazienti. Adesso, il lungometraggio, che vede di nuovo in scena l’attore siciliano: “I miei 57 anni di professione mi hanno insegnato che un attore deve appropriarsi di tutti i linguaggi. E nel cinema poi, tutto deve essere dentro e risalire dagli occhi. Mi sono documentato anche con professori di Neurologia: c’è una fase in cui comprendi il pericolo e arriva il terrore di perdere la cosa più preziosa. Poi, nella fase acuta, riaffiorano solo dei flashback dell’adolescenza mentre tutto il resto sprofonda“.

Per questo ruolo, Gullotta ha fatto ricorso a storie personali: “Avevo un cognato, siamo cresciuti insieme in Sicilia quand’era già fidanzato con mia sorella, era come un fratello. Passano gli anni, capita di sentirsi di meno e le cose sembrano normali: invece un giorno torno a Catania, lo vado a trovare e mi accorgo che non mi riconosce più. Il ricordo più doloroso”.

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