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L’ape siciliana, o Apis mellifera sicula, è una sottospecie dell’ape comune. Distribuitasi naturalmente nella zona della provincia di Trapani, e oggi presente anche presso l’isola di Ustica.

L’ape sicula è una variazione genetica dell’Apis ligustica, di ceppo europeo. Per il suo colore scuro e per la dimensione ridotta delle ali, si differenzia sia dalla seconda che dalle altre api scure, per via dei torace e dell’addome, caratterizzati da peli di colore giallastro.
Lo sciame primario si forma in genere dopo la nascita delle prime regine, ed è caratterizzato da un gruppo di circa 20.000 api che non arriva a superare i 1.500 grammi. L’alveare così sciamato dà origine a sciami secondari che vanno dai 200 ai 1.000 grammi. Un’altra caratteristica che la rende diversa rispetto alle altre api (linguistica, carnica o del tipo mellifera), è che un alveare sciamato di Apis sicula può produrre fino ad 800 celle reali, un numero decisamente più elevato rispetto a quello generato dalle sue gemelle continentali.

La covata si sviluppa precocemente, tra dicembre e gennaio; quindi l’ape sicula non presenta il caratteristico blocco di covata invernale, che caratterizza invece l’apis ligustica e nordica. Ciò significa che nella sua sottospecie sono presenti api giovani, di maggiore durata e dinamicità. La produzione mellifera è però molto ridotta, una caratteristica che consente un maggior tasso di sopravvivenza della famiglia, specialmente nei periodi di maggior scarsità della raccolta; in compenso, sono instancabili produttrici di pròpoli, una sostanza resinosa che le api rielaborano con l’aggiunta di cera, polline ed enzimi presenti nel loro organismo, dando così vita ad uno dei più potenti anti-infiammatori esistenti in natura, dall’odore piuttosto aromatico. Spesso, i suoi alveari sono caratterizzati da un breve periodo di sciamatura in cui convivono due regine; è anche possibile che al suo interno ve ne convivano più d’una o due, solitamente una regina e un drappello di api vergini.

A partire dagli anni Trenta, nelle zone di Catania e Siracusa, si è assistito ad un massiccio processo di ibridazione dell’ape sicula per importazione di altre sottospecie; un processo che si è poi diffuso, negli anni Settanta e Ottanta, nella zona Occidentale dell’Isola. Una necessità dovuta alla mancanza di apicoltori dediti all’allevamento di api regine o di sciami artificiali, che è stata consolidata da un’ulteriore importazione, nel 2002, che ha causato la morte di diversi sciami presenti nella zona orientale, quella più strutturalmente dedita all’apicoltura di Sicilia. È proprio nel territorio dei monti Iblei infatti, che l’apicoltura prosegue ancora secondo metodi antichi e tradizionali: le api vengono infatti conservate e protette dentro i cosiddetti ‘fasceddi’, canestri realizzati originariamente dall’intreccio di ferula, che insieme ai cufinata, cavagne, cannistri e cannizzu, costituisce uno dei contenitori naturali, realizzati in diversi materiali, e utilizzati da allevatori e contadini, per riporre, trasportare e mettere in forma ricotta e altri formaggi, ma anche pane, panni, frutta, uova, dolci e ortaggi.

A metà del Novecento, il professor Pietro Genduso si dedicò alla salvaguardia dell’Apis sicula, facendosi promotore del trasferimento della specie in un luogo sicuro presso l’isola di Ustica. Un processo che si completò dopo la scomparsa del Genduso, attraverso il lavoro dell’apicoltore Carlo Amodeo, con il supporto di svariati istituti di ricerca, tra cui l’Istituto Nazionale di Bologna. Oggi, la specie unica è stata messa in salvo da ulteriori ibridazioni, e il suo materiale genetico, di origine africana, custodito per le generazioni a venire, ma la sua esistenza è ancora a rischio.

Autore | Enrica Bartalotta