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01Tra gli splendidi parchi suburbani di modello arabo-persiano, che a Palermo trovarono un nuovo e magnifico adattamento alle condizioni ambientali locali, il complesso di Maredolce rappresenta una rara e preziosa sopravvivenza storico-ambientale che documenta la cultura dei “giardini paradiso” (Gennat al-ard) in Occidente. L'armonia tra il verde, l'acqua e i corpi architettonici raggiungeva in questi luoghi uno straordinario equilibrio del quale seppero ben godere gli emiri e i principi normanni che solevano soggiornarvi per lunghi periodi dell'anno. Ricordato dalla storia, celebrato da poeti arabi in carmi pieni di sentimento, il cosiddetto “Parco Vecchio” di Maredolce, preesistente alla venuta dei Normanni, mantiene ancora nelle superstiti forme geologiche del suo originario ambiente e nelle possenti rovine del Qasr Ga'far, poi Palazzo della Fawara (di San Filippo a Maredolce), il fascino di un antico splendore. Il caso di Qasr Ga'far, posto ad un miglio dalla città, citato da Ibn Gubayr e cantato col nome di Favara da 'Abd ar-Rahman “il trapanese”, risulta, dal punto di vista della datazione, abbastanza complesso. Le fonti d'età normanna (Beniamino da Tudela) ne attribuiscono, infatti, la costruzione a Guglielmo II, ma il nome arabo datogli dal pellegrino di al- Andalus, Ibn Gubayr, sembra riecheggiarne inequivocabilmente una fondazione kalbita avvenuta tra il 983 e il 985 o tra il 998 e il 1019, data la presenza di due emiri dallo stesso nome nella famiglia dei banu Kalb. Ma in questo caso, esso sarebbe stato fondato (fors'anche su preesistenze) come solacium o quale caravanserraglio/ribat? Le sue denominazioni non semplificano il problema: il nome di Alhiciana (deformazione di al-Hisn, “fortezza”, o del nome proprio Husayn), attribuitogli da Beniamino da Tudela, sembra approssimativamente confermato dal poeta egiziano Ibn Qalaqis che, ricollegando almeno il faina', un pathio o un padiglione, ad un emiro Husayn, sembra ribadirne in versi la fondazione kalbita. Riguardo all'identità di questo emiro, alcuni (I. Di Matteo, Antologia di poeti arabi siciliani, pp. 95-133) lo identificano con un figlio di Tiqat ad-dawla Yusuf, cantato dal poeta Ibn al-Hayyat ar-Raba'i come al-Hasan (ma anche al-Husayn). In effetti, l'emiro Husayn potrebbe essere anche uno degli importanti, ma poco conosciuti, gaiti (funzionari di vario rango) della corte normanna. Il poeta Ibn Qalaqis cantava così questo emiro: Ho una strada due volte sicura quando riversa nell'aere le sue scintille il samum; spengo infatti l'arsura nel padiglione [sull’acqua] dell’emiro Husayn, ma se la calura aumenta, [gelida] c'è la sorgente. Un altro poeta arabo-siculo, 'Abd ar-Rahman al-Itrabanisi (il trapanese), che soggiornò a Palermo ospite di re Ruggero II, così descrive in una sua magnifica qasida il giardino della Fawara, a Maredolce, con il lago oggi prosciugato: Oh quanto è bello il mare delle due palme e l'isola nella quale s'innalza il gran palagio! L'acqua limpidissima delle sue polle somiglia a liquide perle ed il lago ad un pelago. Par che i rami degli alberi si allunghino per contemplare i pesci nell'acqua e gli sorridano. Tra le numerose testimonianze storiche che lo ricordano vi è quella di Beniamino da Tudela che, nelle memorie del suo viaggio compiuto in Sicilia nel 1173, scrive di una "peschiera grandissima dove il re (Ruggero II) e la regina si recavano per diporto in barchette d'oro e d'argento". L'ultimo dato storico sulla presenza del lago è quello riportato dal gentiluomo Vincenzo Di Giovanni intorno al 1610: Si spandono le acque di questa fonte in gran copia verso l'antico palazzo innante del quale, fanno amplissimo lago, il quale per la sua grandezza si dice di Mare dolce. Già alla fine del XVII secolo, secondo l'erudito F.A. Maja, lo specchio d'acqua era ridotto ad una palude che lasciava intravedere a tratti dal suo fondo melmoso grossi mattoni e “balatoni” colorati. Oggi di quel luogo ameno che lo stesso re Ruggero definiva “sollazzo reale” sopravvive “u castiddazzu”, il castellaccio, nome spregiativo attribuito dagli abitanti della zona all'antico palagio per le condizioni d'abbandono e degrado in cui versa da secoli: sono inoltre ancora riconoscibili l'originaria morfologia della depressione e il fondo prosciugato del piccolo lago artificiale. Poco lontano, sotto Monte Grifone, è possibile individuare il sito delle sorgenti di San Ciro, che lo alimentavano attraverso i cosiddetti “Tre archi normanni”, ed è persino distinguibile al centro l'isolotto dell'emiro, un tempo fitto palmeto, oggi rigoglioso mandarineto. Sulla scorta di recenti dati di sondaggio, si può ipotizzare che la realizzazione del bacino artificiale abbia comportato l'apertura di un imponente scavo di sbancamento in una roccia calcarenitica notevolmente resistente, che ha lasciato nella zona centrale un isolotto la cui quota di campagna testimonia ancora l'originaria morfologia del luogo.
 
Foto di Mario Michele Spina 
 
 
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