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Balduccio Di Maggio, chi è il membro della Famiglia di San Giuseppe Jato e del Clan dei Corleonesi. Biografia: dove è nato, qual è il suo vero nome, attività in Cosa Nostra. Arresto e rivelazioni ai magistrati, processi e condanne, cosa sappiamo oggi.

Balduccio Di Maggio

Il vero nome di Balduccio Di Maggio è Baldassare Di Maggio. Noto anche come Baldo, nasce a San Giuseppe Jato, in provincia di Palermo, il 19 novembre del 1954, quindi ha 68 anni. Si avvicina a Cosa Nostra all’inizio degli anni Ottanta, tra il 1981 e il 1982 ed entra nella famiglia mafiosa locale, capeggiata da Bernardo Brusca.

Immediato il coinvolgimento in alcuni fatti della seconda guerra di mafia, che si tiene in quella decade. Diventa il “capofamiglia” dopo l’arresto di Bernardo Brusca a San Giuseppe Jato e l’invio al confino a Linosa del figlio, Giovanni Brusca. Di Maggio riceve la benedizione di Totò Riina ma, quando Giovanni Brusca fa ritorno, nel 1989, diviene una presenza scomoda, che bisogna eliminare. Nonostante Riina si muova per ripristinare la pace, Di Maggio non si fida e lascia la Sicilia per preservare la sua incolumità.

L’arresto

Le forze dell’ordine lo arrestano l’8 gennaio del 1993 a Borgomanero, in provincia di Novara. Ammette subito di essere un “uomo d’onore” e rivela importanti informazioni al generale dei carabinieri Francesco Delfino. Secondo quanto dichiara, è il tipo di “uomo d’onore” che ha acquistato peso con l’ascesa dei Corleonesi, disilluso per l’eccessiva ferocia del clan.

Portato a Palermo, visiona alcuni filmati dei servizi di osservazione dal Ros del Generale Mario Mori. Riconosce, vedendo una donna che esce da un cancello in via Bernini, Ninetta Bagarella, moglie di Totò Riina. Il giorno seguente accompagna sul posto la squadra speciale dei Carabinieri. Riina viene arrestato il 15 gennaio del 1993.

Secondo alcuni collaboratori di giustizia e stando a quanto dichiarato anche da Giovanni Brusca, Balduccio Di Maggio sarebbe stato una sorta di specchietto per le allodole, per coprire il tradimento di Bernardo Provenzano (stretto collaboratore di Riina).

Nel corso di una testimonianza agli inquirenti di Palermo, Di Maggio racconta di essere stato presente a un incontro tra Giulio Andreotti e Totò Riina: “Sono assolutamente certo di aver riconosciuto Giulio Andreotti, perché l’ho visto diverse volte in televisione. Ho interpretato il bacio che si scambiarono Andreotti e Riina come un gesto di rispetto”.

Lo stesso afferma che, nel settembre del 1987, ha avuto luogo un incontro nella casa di Palermo di Ignazio Salvo: “Quando siamo entrati erano presenti l’onorevole Andreotti e l’onorevole Salvo Lima. Loro si alzarono, diedero la mano e baciarono Ignazio Salvo. Riina invece salutò tutti e tre baciandoli”.

Giulio Andreotti smentisce le accuse. I giudici della Corte di Appello rigettano le testimonianze di Di Maggio in merito al bacio scambiato tra Riina e Andreotti. Arriviamo così a superare la metà degli anni Novanta. Balduccio Di Maggio torna nella sua città natale tra il 1995 e il 1997, nell’ambito del programma di protezione dei testimoni.

Inizia così azioni di vendetta contro gli uomini di Giovanni Brusca (arrestato nel 1996), nel territorio di San Giuseppe Jato, Altofonte e San Cipirello, quindi sempre in provincia di Palermo. Coopera con altri pentiti, come Santino Di Matteo e Gioacchino La Barbera.

Le forze dell’ordine arrestano nuovamente Di Maggio nel mese di ottobre del 1997. Dichiara di aver incoraggiato la ricerca e la cattura di Giovanni Brusca. Nel 2001 fa ritorno in carcere e, nell’aprile del 2002, riceve l’ergastolo per alcuni omicidi commessi mentre era nel programma di protezione testimoni.

Processi e condanne per Balduccio Di Maggio

In un articolo del 4 ottobre del 1999, La Repubblica scrive:

Baldassare Di Maggio ha continuato a uccidere anche dopo essere diventato un collaboratore di giustizia. Ha confessato che nel ’96 sfuggì alla custodia delle forze dell’ordine e tornò a San Giuseppe Jato, per assassinare Giuseppe Carfì, 54 anni, uomo del superboss Giovanni Brusca”.

“La rivelazione del controverso collaboratore di giustizia è arrivata durante il processo che si tiene nell’aula bunker del carcere di Pagliarelli, nel quale Di Maggio deve rispondere di una serie di omicidi compiuti in concorso con Santo Di Matteo e Gioacchino La Barbera, anch’essi passati poi sotto la protezione dello Stato, entrambi imputati nel processo per la strage di Capaci, che costò la vita a Giovanni Falcone, alla moglie del magistrato, Francesca Morvillo, e agli uomini della scorta”.

Qualche anno più tardi, il 7 aprile del 2002 il Corriere della Sera riporta:

Ergastolo per Balduccio Di Maggio. Ieri, al termine di una camera di consiglio durata 4 giorni i giudici della seconda sezione della Corte d’ Assise di Palermo, presieduta da Renato Grillo, hanno condannato al carcere a vita l’ ex collaboratore di giustizia, accusato di una serie di omicidi compiuti tra il ‘ 96 e il ‘ 97, mentre era sotto la protezione dello Stato“.

Si conclude così la discussa parabola del picciotto di San Giuseppe Jato che aveva consentito ai carabinieri del Ros di catturare, nel gennaio del 1993, Totò Riina, il capo di Cosa Nostra. Il contributo fornito all’ arresto di Riina e il suo ruolo chiave nel processo Andreotti non sono stati sufficienti a impedire che Di Maggio tornasse in galera, e questa volta definitivamente”.

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