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01« …Scìnninu, nudi, ‘mmezzu li lurdduma
di li scalazzi ‘nfunnu allavancati;
e, ccomu a li pirreri s'accustuma,
vannu priannu: Gesùzzu, piatati!…
Ma ddoppu, essennu sutta lu smaceddu,
grìdanu, vastimiannu a la canina,
ca macari “ddu Cristu” l'abbannuna…»

Così definì il lavoro nelle solfatare Alessio di Giovanni, poeta e drammaturgo di Cianciana, uno dei centri zolfiferi della provincia di Agrigento.

Lo zolfo è stata una delle più importanti risorse minerarie della Sicilia. Duro ne fu il commercio, di cui sono state trovate testimonianze che risalgono fin dall’Antichità, e duro il lavoro, uno dei primi a sfociare in organizzazione sindacale. L'area interessata dai grandi giacimenti è quella centrale, compresa tra le province di Caltanissetta, Enna e Agrigento. L'area mineraria si estendeva fino alla Provincia di Palermo; includeva il bacino di Lercara Friddi e la Provincia di Catania, il cui porto divenne ben presto un importante snodo commerciale a livello mondiale.

Testimonianze delle attività estrattive d’epoca Romana, sono state confermate dal ritrovamento di una placca d’argilla in contrada Puzzu Rosi, nell'area mineraria comitinese. Sembra però che questa attività fosse già largamente conosciuta nel 1600 a.C., almeno secondo i reperti trovati presso Monte Castellazzo, che testimoniano di una commercializzazione del prodotto con le popolazioni Egee. Si trattava in genere di minerale di affioramento e di cave a cielo aperto. Il metodo di scavo, rudimentale, rimase attivo fino alle soglie del XIX secolo. Inizialmente infatti, lo zolfo veniva utilizzato a scopi medici; famose a questo proposito, sono “le botti”, che alla fine del Seicento servirono per curare malattie come la sifilide tramite le esalazioni di cinabro, una minerale solfureo. Fu solo con l’introduzione del metodo Le Blanc, per la fabbricazione su scala industriale della soda, che nel 1787 lo zolfo iniziò ad essere utilizzato a scopi bellici, come ingrediente fondamentale della polvere da sparo. Lo sviluppo dell'estrazione su base industriale interessò tutto il corso dell’Ottocento e andò ben oltre i confini della Sicilia, fino ad arrivare a interessare soprattutto francesi e inglesi. Tra il 1828 e il 1830 l'esportazione di zolfo raggiunse e superò le 35.000 tonnellate, ma bisognerà aspettare il 1840 per una prima vaga stabilizzazione del mercato. Lo zolfo infatti, stava iniziando a subire la concorrenza delle estrazioni minerarie di pirite che interessavano soprattutto il centro-Italia. Curiosamente, fu una malattia delle piante a rilanciarne la diffusione. Un fungo parassita, l’oidio, iniziò a interessare i vitigni di tutta Europa, devastandoli. Il rimedio? Irrorarazioni di polvere di zolfo in soluzione acquosa. L’estrazione e il commercio di zolfo divenne così nuovamente necessario e importante; nacquero le raffinerie e gli impianti molitori del licatese fino a Porto Empedocle e alla città di Catania. La produzione continuò fino alla fine dell'Ottocento quando avvenne un nuovo crollo dei prezzi di vendita che mise in ginocchio l’intero settore

Per la fine del XIX secolo, divennero oltre 700 le miniere attive in Sicilia, con un impiego di forza lavoro di oltre 30.000 addetti, che lavoravano in condizioni brutali dall’alba al tramonto; uomini, giovani, ragazzi al di sotto dei 14 anni. Fu così che nel maggio del 1891 venne istituita la prima associazione sindacale per la richiesta di più umane condizioni di lavoro: il Fascio di Catania, che venne successivamente sciolto dal Governo di Francesco Crispi solo tre anni più tardi, portando un cambiamento nella morfologia della produzione e della commercializzazione del minerale; dopo la crisi del settore degli anni Novanta, la produzione fu spostata a Porto Empedocle, provocando un forte scompenso nell'economia catanese.

Poco prima della Prima Guerra Mondiale, il settore subì un nuovo contraccolpo, a causa della diffusione del metodo Frasch, che abbassò i costi di estrazione negli Stati Uniti rendendo le miniere di Sicilia non più competitive. Fu solo dopo la Seconda Guerra che il settore zolfifero di Sicilia tornò a riprendere un po’ di respiro, fino ai primi anni Cinquanta, che videro impegnati gli Stati Uniti fronte della Guerra di Corea.

Tra gli anni Sessanta e Settanta, la liberalizzazione del mercato voluto dal MEC, decretò la fine dell’industria zolfifera isolana, con la chiusura progressiva di tutte le miniere, fino a quella di Floristella (provincia di Enna), nel 1984, oggi Parco minerario con Grottacalda.

A testimonianza della cultura dello zolfo, oggi rimangono le vecchie rotaie che venivano utilizzate per il convogliamento del minerale, nonché le molteplici strutture museali volute dai Comuni e dalle provincie interessate, come il Museo e Parco Industriale della Zolfara di Lercara, in località Lercara Friddi (Palermo) o il Museo Mineralogico, Paleontologico e della Zolfara Sebastiano Mottura, a Caltanissetta.
Molte furono anche le opere letterarie di poeti e romanzieri, che ne diffusero e ne tennero vivo il ricordo, denunciando talora le condizioni di lavoro e celebrando il duro lavoro di pirriaturi, capumastri e carusi. Si ricordano a questo proposito i “Sunetti di la surfara”, di Alessio di Giovanni, e “Le parrocchie di Regalpetra” di Leonardo Sciascia. Nota al grande pubblico, è sicuramente la strage di Gessolungo del novembre 1881 raccontata ne “La zolfara” di Michele Straniero, una canzone portata al successo da Ornella Vanoni nel 1959:

« Otto sono i minatori
ammazzati a Gessolungo;
ora piangono i signori
e gli portano dei fiori.
Hanno fatto in Paradiso
un corteo lungo lungo;
da quel trono dov'è assiso
Gesù Cristo gli ha sorriso. »

L’aspetto sociale della miniera è stato soprattutto affrontato da Luigi Pirandello, la cui famiglia gestiva delle zolfare. Con le novelle “Il fumo” e “Ciàula scopre la luna”, lo scrittore agrigentino usa la vita mineraria di Sicilia come strumento e contesto per parlare, con la sua poetica speciale, degli intrecci interiori che animano i personaggi, regalandoci al tempo stesso uno spaccato della vita del tempo.

Autore | Enrica Bartalotta