L’isola di Mozia, situata nella suggestiva laguna dello Stagnone tra Trapani e Marsala, si conferma un tesoro archeologico senza tempo.
Durante una recente campagna di scavi condotta dall’Università degli Studi di Palermo in collaborazione con la Soprintendenza dei Beni Culturali di Trapani, è stata riportata alla luce una statua greca in marmo del V secolo a.C., un’opera che arricchisce il già straordinario patrimonio culturale della Sicilia. La scoperta, avvenuta nell’area del “Ceramico” (Area K), una delle più grandi officine ceramiche puniche del Mediterraneo centrale, rappresenta un’ulteriore testimonianza del ruolo di Mozia come crocevia di civiltà nel mondo antico.
La statua: un capolavoro incompiuto
La statua, alta 72 centimetri compreso il piccolo piedistallo su cui poggia, raffigura una figura femminile in posa incedente, avvolta in un elegante chitone e un himation, tipici indumenti della Grecia classica. L’opera, priva della parte superiore del torso e della testa, non presenta una frattura accidentale: il taglio della pietra è stato eseguito intenzionalmente, come dimostrato dai due fori con resti di tenoni metallici sulla superficie, che indicano un assemblaggio da almeno due blocchi di marmo. Questo dettaglio tecnico suggerisce un alto livello di maestria artigianale, tipico delle sculture greche del periodo. La statua giaceva in posizione orizzontale sul margine di una vasca contenente argilla, utilizzata per la produzione di vasi e terrecotte figurate, nel cuore pulsante dell’officina punica.
Il contesto storico di Mozia
Mozia, nota in epoca antica come Motya, fu fondata dai Fenici intorno all’VIII secolo a.C. come avamposto commerciale nel Mediterraneo occidentale. La sua posizione strategica, circondata dalle saline dello Stagnone, ne fece un punto nevralgico per gli scambi tra Fenici, Greci e popolazioni indigene siciliane. Durante il V secolo a.C., periodo di massimo splendore della città, Mozia prosperava grazie alla sua intensa attività produttiva, come testimoniato dall’area del Ceramico, dove la statua è stata rinvenuta. La presenza di un’opera greca in un contesto fenicio non sorprende: Mozia era un melting pot culturale, dove l’arte greca veniva spesso utilizzata per rappresentare divinità ed eroi fenici, come dimostrato da precedenti ritrovamenti, tra cui l’iconica statua del Giovane di Mozia.
Un legame con l’assedio di Dionigi
Gli archeologi ipotizzano che la dismissione della statua e la sua deposizione siano avvenute nell’ultima fase di utilizzo dell’officina, probabilmente in concomitanza con l’assedio di Dionigi di Siracusa nel 397 a.C., un evento che segnò la distruzione della città. La statua potrebbe essere stata intenzionalmente nascosta o abbandonata durante i preparativi per la difesa della città, un’ipotesi supportata dalla presenza di altri reperti, come punte di freccia, trovati nella stessa colmata di argilla e marna calcarea. È possibile che l’opera fosse collocata all’interno dell’officina stessa, forse in connessione con nuove strutture murarie emerse durante gli scavi, suggerendo un ruolo decorativo o cultuale.
Le parole dell’assessore Scarpinato
L’assessore regionale ai Beni Culturali e Identità Siciliana, Francesco Paolo Scarpinato, ha commentato con entusiasmo il ritrovamento: “Questo ritrovamento conferma l’importanza del lavoro di ricerca e tutela che portiamo avanti ogni giorno. Una scoperta importante che testimonia, ancora una volta, quanto la SICILIA sia stata nei secoli un crocevia di civiltà, ma soprattutto quanto l’isola continui a restituirci testimonianze preziose che meritano di essere conosciute e condivise”.
Un crocevia culturale nella Sicilia grecopunica
La statua non è solo un’opera d’arte, ma una finestra aperta sulla complessità culturale della Sicilia grecopunica. La presenza di un capolavoro greco in un contesto fenicio evidenzia le strette connessioni tra le due civiltà, che si influenzarono a vicenda attraverso commerci, scambi artistici e interazioni culturali. La statua potrebbe raffigurare una divinità o una figura mitologica, forse legata al culto di Astarte o Afrodite, come suggerito da precedenti ritrovamenti nell’area sacra del Kothon, un grande bacino rettangolare reinterpretato come piscina sacra dedicata al dio Baal. Questi elementi rafforzano l’idea di Mozia come un centro di ibridazione culturale, capace di accogliere e rielaborare influenze greche, fenicie e locali.
Il ruolo della missione archeologica
La scoperta è il risultato di un lavoro sinergico tra l’Università di Palermo e la Soprintendenza dei Beni Culturali di Trapani, con il supporto della Fondazione Whitaker, che gestisce il museo archeologico sull’isola. La missione, attiva da decenni, ha portato alla luce numerosi reperti che hanno arricchito la nostra comprensione della storia fenicia e greca in Sicilia. Tra i ritrovamenti più celebri figurano il Giovane di Mozia, una statua marmorea del V secolo a.C. identificata come possibile auriga o figura sacra, e un’effigie in terracotta di Astarte/Afrodite, scoperta nel 2021. Questi tesori, esposti al Museo Whitaker, attirano studiosi e visitatori da tutto il mondo.
