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        di Nando Cimino

 Arrivano le tasse? Ridiamoci su! –  Questo è quello che ho pensato leggendo queste rime che fra poco vi citerò e che risalgono probabilmente alla seconda metà dell’ottocento allorchè il neonato Regno d’Italia, per far fronte agli enormi debiti, decise di mettere una tassa anche sul macinato. Bisognava far cassa, ed ancora una volta  i primi a dover pagare erano i più deboli. Nei mulini dove tanti contadini si recavano per ricavar farina dal proprio grano, venne applicato un congegno che serviva a misurare i giri della ruota macinatrice; in proporzione al numero di tali giri ed al tipo di cereale macinato, veniva applicata una tassa che il mugnaio, nelle vesti di esattore, incassava per conto dello stato  per poi versarlo all’erario. Scoppiarono rivolte e tumulti praticamente in tutta Italia; in Sicilia dove già di rivolte se ne eran fatte fin troppe, e con risultati non proprio esaltanti, le proteste furono invero blande; tutti infatti capirono che comunque alla fine si sarebbe dovuto pagare ugualmente. Come si dice: “Calati juncu ca passa la china”. E così, qualche “filosofo” buontempone, invece di metter mano al forcone si affidò alla sua penna, non meno pungente, e scrisse questa citazione dialettale che ben interpretava il pensiero del popolo siciliano.

 

Signuri ti ringraziu

si pi cacari nun si paga  ddaziu,

e si pi fari puru na pisciata

nun c’è bisognu di  carta bullata!

 

       A ben vedere credo si adatti pure ai nostri giorni. Ma siamo sicuri che l’abbiano scritta proprio nell’ottocento?!