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Canicattì – Teatro Sociale – Inaugurazione della Mostra Itinerante dell’Esercito Italiano in occasione del centenario dell’inizio della prima guerra mondiale.

Sintesi della relazione svolta dal Prof. Gaetano AUGELLO nella qualità di Presidente dell’UNITRE di Canicattì.

La città di Canicattì ha dato il suo contributo alla prima guerra mondiale –che ha completato il Risorgimento Italiano con l’attribuzione di importanti parti del suo territorio storico – con il sacrificio di 251 suoi concittadini. Questa partecipazione era la continuità ideale rispetto ai moti risorgimentali che avevano portato all’unificazione nazionale con la creazione del Regno d’Italia.
Il 3 novembre 1821 il vicario foraneo di Canicattì, Giovanni Petralito, comunicava che con Bolla Pontificia tutti i carbonari erano dichiarati “settari massoni” e pertanto erano da considerare scomunicati. Incuranti di tale pronunciamento aderirono alla Carboneria i patrioti Vincenzo Pillitteri, Luigi Brutto, i fratelli Alfonso e Giambattista Martines.
Il 12 gennaio 1848 a Palermo scoppiava la rivolta proprio nel giorno del genetliaco del re borbonico Ferdinando II: contadini, artigiani e molti aristocratici, accompagnati dal rintocco delle campane della Gangia e di Sant'Orsola, scesero in piazza rivendicando riforme e libertà. I rivoltosi costituirono la Guardia Nazionale, guidata dal barone Riso. Il 19 marzo fu eletto un nuovo Parlamento che si insediò il 25 successivo nel convento di San Francesco a Palermo e, come suo primo atto, dichiarò decaduto il re ed elesse un governo provvisorio presieduto da Ruggero Settimo.
Il Parlamento Siciliano era composto da due Camere: la Camera dei Pari o Camera Alta, composta da 159 rappresentanti degli ecclesiastici e dei nobili, e la Camera dei Comuni, ove sedevano 222 rappresentanti del popolo. Il Distretto di Canicattì fu rappresentato nel Consiglio Generale di Palermo dal barone dottor Salvatore La Lomia, che era stato eletto, il 15 marzo, dal comitato rivoluzionario cittadino riunito nel convento del Carmine.
A Canicattì le prime coccarde tricolori comparvero il 23 gennaio 1848 ad opera dei rivoluzionari Diego e Alfonso Martines che obbligarono ad indossarle il Giudice Circondariale Emmanuele Piazza ed il barone Bartoccelli. Tutti insieme, quindi, scesero in piazza, invogliando i presenti a fare lo stesso. Tutta la popolazione, d’un tratto, divenne antiborbonica. Il 24 gennaio mattina la torre dell’Orologio apparve sormontata da una bandiera tricolore.
Il 12 febbraio 1848, con un solenne Te Deum, le autorità ed il popolo di Canicattì festeggiavano la conquista, da parte della Nazione, del Castello a Mare di Palermo. Nella stessa chiesa, martedì diciotto aprile, il sacerdote Gioacchino Caico, uno dei componenti del Comitato, intonò un Te Deum di ringraziamento per essere stato dichiarato decaduto l’ex re Ferdinando II dal trono di Sicilia e per la fine della dinastia dei Borbone.
La rivoluzione antiborbonica a Canicattì ebbe un forte appoggio da parte del francescano padre Francesco Decaro, del convento dello Spirito Santo.
Restaurato il governo borbonico, anche nelle singole giurisdizioni territoriali si tornava ai vecchi organismi.
Vincenzo Macaluso nel 1859, d'intesa con Rosolino Pilo e Francesco Crispi, organizzò una rivolta di picconieri di Comitini, Grotte, Racalmuto, Castrofilippo e Favara, con l'intento di estenderla a Palermo. Il 3 luglio 1859, di buon mattino, issava sul Calvario di Aragona e sul vicino Monte La Pietra, nel territorio di Comitini, il tricolore italiano.
L'11 maggio 1860, il giorno dello sbarco dei garibaldini a Marsala, fu inviato a Canicattì, in via precauzionale, un reggimento di cacciatori ed un altro di carabinieri al comando del generale Afan De Rivera. Il 23 maggio insorgeva Girgenti e, subito dopo, anche a Canicattì veniva issato il tricolore sulla Torre dell'Orologio, mentre tutte le campane della città suonavano a festa. Il primo ad innalzare il tricolore a Canicattì fu Antonino Caramazza, figlio del proprietario Gaetano Caramazza.
Il 23 giugno 1860 i cittadini di Canicattì furono invitati a recarsi nella Chiesa Madre per iscriversi alle liste elettorali in vista delle elezioni che si sarebbero tenute il 21 ottobre.
Il 21 ottobre l’arciprete Carmelo Moncada, il presidente del Comitato elettorale Pietro Testasecca ed il notaio Emanuele Antinoro si riunirono nella “Matrice Chiesa, luogo stabilito dal Magistrato Municipale per ricevere la votazione degli Elettori per plebiscito”. Nella stessa serata furono proclamati i risultati: iscritti 2847, partecipanti al voto 2643, voti favorevoli all’annessione 2642, voti contrari 1. Canicattì contava allora 18.275 abitanti. 
Dopo l’unità d’Italia, l’introduzione della politica di libero scambio favorì inevitabilmente le industrie del nord a scapito delle poche isolane e meridionali in genere. Ci si rendeva man mano conto che il processo di unificazione d’Italia era avvenuto, se non contro il popolo, certamente senza di esso. Per questo le maggiori simpatie dei siciliani e dei canicattinesi erano ancora rivolte al protagonista del Risorgimento che ritenevano più vicino alle loro istanze e cioè al liberatore Garibaldi e quando questi, il 29 agosto 1862, fu ferito in Aspromonte, tutti a Canicattì, il giorno successivo, festa del patrono San Diego, come atto di solidarietà e di protesta, indossarono ostentatamente il lutto.
Il secondo Ottocento vide la realizzazione, a Canicattì, di importanti opifici: il complesso Trinacria, una fabbrica di calce idraulica, la Società Italiana di prodotti e concimi chimici; alcune saponerie, una fabbrica di fiammiferi in legno, una segheria meccanica, laboratori artigianali per la realizzazione di sedie, scarpe e coltelli, pastifici, molini a forza idraulica, e, nel 1880, la realizzazione di un molino a vapore, il primo in Italia e in Europa. L’idea fu del patriota Vincenzo Macaluso che ricopriva in quegli anni l’incarico di consigliere comunale.

 


Il 24 maggio 1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria-Ungheria, ponendo fine alla diatriba tra interventismo e neutralismo. Mentre da tutte le regioni i soldati raggiungevano il fronte, si diffondeva tra la popolazione un senso di smarrimento e paura per quanto sarebbe accaduto in termini di perdite di vite umane e di distruzione di beni materiali. Nelle campagne siciliane venne meno il lavoro di tanti contadini e braccianti e spesso le donne furono costrette a sostituirli per mantenere i propri figli. E proprio le donne fecero sentire la loro inutile protesta anche a Canicattì così come accadeva in tanti altri centri. Si ha notizia di due manifestazioni avvenute nella mattina e nel pomeriggio del 25 marzo 1916. Queste manifestazioni erano però solo espressione di disperazione e rabbia, dal momento che nessuno avrebbe potuto cambiare le decisioni governative. L’attaccamento alla Patria peraltro spingeva tutti a ben sperare nel risultato finale che avrebbe portato al pieno raggiungimento degli obiettivi risorgimentali.
La Sicilia diede il suo contributo alle operazioni militari e venticinque dei suoi ufficiali e soldati poterono fregiarsi della medaglia d’oro. L’adesione della città di Canicattì alle finalità ideali e patriottiche della grande guerra rimane perennemente testimoniata dalla collocazione, sul prospetto del Palazzo Municipale, di due lapidi che contengono il testo del proclama ai Soldati di terra e di mare che il re Vittorio Emanuele III inviò dal Quartier Generale il 26 maggio 1915 e il testo del Bollettino della Vittoria firmato da Armano Diaz il 4 novembre 1918. Le due lapidi vennero collocate nella primavera del 1927 su iniziativa di un comitato di cittadini che raccolsero le somme necessarie: delle 2.750 lire raccolte ne furono spese 2.666,50; la rimanenza fu donata al Patronato Scolastico.
Ma Canicattì diede il suo contributo alla causa nazionale soprattutto con la morte eroica di ben 251 suoi figli. I loro nomi sono stati tramandati da Diego Martines e Angelo Sardone e ad alcuni di loro sono state doverosamente intitolate alcune vie della città.
Alcuni dei caduti canicattinesi, per i loro particolari atti di eroismo, hanno avuto altissimi riconoscimenti: tra i caduti dei 1915 il caporal maggiore Edoardo Magrì è stato insignito di medaglia d’argento al valor militare e il caporale di fanteria Luigi Nespola di medaglia di bronzo con Decreto del 22 gennaio 1916; tra i caduti del 1916 il soldato Pietro Bonsangue è stato insignito di medaglia d’argento al valor militare e il soldato Angelo Carlino di medaglia di bronzo ambedue con D. L. 18 ottobre 1917.
Al capitano Giovanni Ippolito, morto il 6 agosto 1916, furono assegnate tre medaglie d’argento di cui la terza alla memoria. Tra i caduti canicattinesi della grande guerra è quello più conosciuto.
Nacque a Canicattì il 7 maggio del 1881 da Salvatore e Giuseppa La Vecchia. Compiuti i primi studi e conseguita la licenza nella Regia Scuola Tecnica, si trasferì a Palermo per frequentare il Regio Istituto Tecnico “Filippo Parlatore”, ma dopo due anni, nel 1898, attratto dagli studi minerari, si iscrisse all’Istituto Minerario di Caltanissetta ove conseguì con il massimo dei voti il diploma di perito minerario nel 1901. Adempiuti gli obblighi militari di leva e congedato col grado di sottotenente, divenne direttore delle miniere Ficuzza e Serradimendola. Nel 1908 entrò nel Regio Corpo del Genio Civile e vi rimase fino al 1915, quando fu richiamato alle armi e inviato al fronte ottenendo la promozione a capitano.
Prese parte ai combattimenti dapprima nel 148° Reggimento Fanteria e poi, come capitano, nel 141° Reggimento Fanteria della Brigata Catanzaro, formata in massima parte da calabresi. Si distinse a San Martino del Carso, Bosco Lancia, Bosco Cappuccino, Monte Cencio, Asiago, Oslavia, sulle pendici di Monte San Michele e sul Monte Moschiagh. Dopo questi combattimenti, gli fu concessa la prima medaglia d’argento con la seguente motivazione: “Comandante di un settore, nella riconquista di una posizione tenacemente contrastata dal nemico, diede prova costante d’intelligente, fattivo e spiccato senso del dovere. Sprezzante del pericolo, fu d’incitamento agli inferiori perché compissero tutti il loro dovere. Alla testa di un gruppo di animosi ripetutamente coadiuvò, sotto il fuoco preciso dell’avversario, al recupero di nostri cannoni, già da questo precedentemente catturati. Monte Mosciagh, 25-26-28 maggio 1916”.
Pochi giorni dopo si distinse con la sua compagnia, mentre altri reparti ripiegavano davanti al nemico, con ulteriori atti di eroismo che gli valsero la seconda medaglia d’argento. Questa la motivazione: “Attaccato di fronte e di fianco da forze superiori nemiche, seppe, con la sua compagnia, resistere energicamente agli attacchi nemici, mentre altri reparti erano costretti a ritirarsi. Contribuì efficacemente, con le continue, precise informazioni inviate al comando, a far ottenere un brillante vittorioso successo. Magnaboschi, 3-6 giugno 1916”.
Tornato sul Carso, guidò i compagni nella conquista di numerose posizioni ma, il 6 agosto 1916, mentre tentava di conquistare la vetta di Monte San Michele, sulle Alpi Carsiche, fu colpito a morte, all’età di trentacinque anni. Il comando del Reggimento propose per il capitano Ippolito la concessione della medaglia d’oro, ma fu assegnata una terza medaglia d’argento con questa motivazione: “Costante esempio di valore, perizia e sprezzo di pericolo, infondeva slancio alla sua compagnia, che guidava arditamente al difficile attacco di una forte e ben munita posizione nemica che riusciva a conquistare, catturando una mitragliatrice e numerosi prigionieri. Assunto interinalmente il comando del battaglione, con calma ammirevole ed esempio, lo manteneva saldo sulla posizione raggiunta, finché, colpito da granata nemica, cadeva gloriosamente sul campo. Monte San Michele, 5-6 agosto 1916”.
All'eroismo dimostrato dal capitano Ippolito sul Monte Mosciagh il 26-28 maggio 1916, la Domenica del Corriere dedicò la copertina del numero 24 dell'11-18 giugno 1916 con la esaltante illustrazione di Antonio Beltrame.
Il corpo del capitano Ippolito fu seppellito nel cimitero militare di Sdraussina, frazione del Comune di Sagrado, in provincia di Gorizia, in attesa di essere trasferito a Canicattì. Dopo la fine della guerra, la sua salma venne traslata a Canicattì, dove ebbe tributate onoranze funebri che, a detta dei testimoni oculari, furono “grandiose e indimenticabili”.
A lui la città ha dedicato una delle sue arterie più importanti. Il 24 maggio 1923 nell’Istituto Tecnico Minerario di Caltanissetta fu inaugurata una lapide commemorativa di tutti gli ex alunni dell’istituto morti durante la grande guerra. Il testo della lapide fu scritto dal professore Giuseppe Pappalardo che tenne anche il discorso ufficiale. Riportiamo l’iscrizione della lapide scolpita dal nisseno Enrico Meschini.

ALLA MEMORIA DEGLI EX ALLIEVI
IPPOLITO GIOVANNI FU SALVATORE DA CANICATTI’
COLAJANNI ALBERTO DI POMPEO DA CASTROGIOVANNI
SAGONE ALFONSO FU SALVATORE DA PALERMO
FILOSE VINCENZO FU LUIGI DA CALTANISSETTA
PUNTARELLO FILIPPO DI GIOVANNI DA COMITINI
CADUTI NELLA GUERRA 1915-1918
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EDUCATI IN QUESTA SCUOLA AD ITALICHE VIRTU’ 
NEI GIORNI DEL PERIGLIO
MENTE CUORE VITA
GENEROSAMENTE ALLA PATRIA CONSACRARONO

Quasi tutte le famiglie canicattinesi furono coinvolte nel lutto per i caduti e nella solidarietà ai feriti. Man mano che dal fronte giungevano le drammatiche notizie tutti, autorità e cittadini, si stringevano alle famiglie colpite. Il periodico agrigentino Il Cittadino nel 1915 così scriveva: “Un altro valoroso ufficiale deve segnare Canicattì nel libro d’oro dei suoi valorosi caduti sulle zolle irredente. E’ il sottotenente Calogero Bennici, dell’ingegnere Vincenzo. Educato alle virtù paterne, il bravo giovane era circondato di stima e di affetto. Era già prossimo a compiere gli studi e florido, a lui sorrideva l’avvenire. Nel reggimento era tenuto in grande estimazione tanto da essere proposto aiutante di campo. Il comunicato ufficiale pervenuto al Sindaco annunziante la ferale notizia è caldo di espressioni lusinghiere sul conto del valoroso estinto”.
Allo scoppio della guerra il sottotenente Bennici si trovava in servizio di leva a Siracusa in un reggimento di fanteria. Trasferito tale reggimento sul fronte, il giovane ufficiale compiva il suo dovere fino al sacrificio estremo. Il 29 ottobre 1915, in una assai cruenta controffensiva nei pressi di Ronchi, colpito in pieno petto, chiudeva gli occhi per sempre.
Il primo de canicattinesi a cadere sul fronte fu un umile zolfataio ventiduenne, di nome Gustavo Vanco, spirato il 2 luglio 1915 “per le ferite riportate in combattimento mentre il suo reparto scacciava il nemico dalle Cave di Polazzo”.
Altre medaglie d’argento furono concesse al bersagliere Antonio Montante caduto il 27 marzo 1916, al soldato di fanteria Rosario Battaglia caduto nella battaglia del Piave il 19 giugno 1918 e al tenente Federico Gangitano, figlio unico del generale Luigi, caduto il 2 novembre 1916. Questa la motivazione: “Comandante di una sezione mitragliatrici, le cui armi eransi rese inservibili, assumeva volontariamente il comando di un'altra sezione di cui era caduto l'ufficiale. Nuovamente rimasto con le armi inservibili, riunì i serventi in plotone e li condusse all'attacco, incontrando gloriosa morte sul campo. Fulgido esempio di profondo sentimento el dovere ed altissimo spirito di sacrificio”.

Una medaglia di bronzo fu assegnata al finanziere Calogero Salvaggio. Altra medaglia di bronzo fu assegnata al tenente Tommaso Rao morto a San Martino del Carso il 28 agosto del 1915. Tommaso Rao fu colpito alla fronte da una fucilata mentre al comando della sua compagnia era intento a fortificare la postazione da poco conquistata. E' sepolto nel cimitero di Canicattì.
Alcune vie sono state dedicate a valorosi canicattinesi, insigniti della medaglia d'argento, come Eduardo Magrì (caduto sul San Michele il 7 luglio 1915 mentre col grado di caporal maggiore lanciava la sua squadra all'assalto), Antonio Montante (bersagliere appena ventenne, pur ferito, aveva voluto tornare in trincea, dove il 27 marzo 1916 veniva mortalmente colpito) e Rosario Battaglia (semplice soldato di fanteria, fu impegnato nella battaglia del Piave, dove, spintosi per primo sulla trincea nemica, il 19 giugno 1918 veniva colpito alla testa).
Tanti furono i morti a cui non venne dato alcun riconoscimento, nonostante il loro eroismo. Si pensi, per esempio, all'ardimento dimostrato dal fante Salvatore Corsello, il quale il 22 ottobre 1917, aggredito da ingenti forze nemiche, piazzò la sua mitragliatrice e resistette da solo per un intero giorno. Anche il fratello Giacinto fu vittima della guerra, poiché contrasse nel Trentino un'infermità così grave che lo portò alla tomba subito dopo il conflitto.
Alla prima guerra mondiale partecipò, nel 52° Reggimento fanteria della Brigata “Alpi”, Arturo Maira che, col grado di capitano di fanteria, sarebbe morto da eroe nel secondo conflitto mondiale, ottenendo una medaglia d’oro alla memoria.
Al termine della guerra, i corpi di alcuni dei caduti poterono ritornare a Canicattì, ove furono sepolti con tutti gli onori. Il 25 maggio 1923 rientrarono le salme di Giovanni Ippolito e Federico Gangitano: una folla commossa le accompagnò dalla stazione ferroviaria alla chiesa e dalla chiesa al cimitero. Un caduto canicattinese, il sottotenente Gaetano Portalone, membro della III Armata, comandata dal duca d’Aosta Emanuele Filiberto, è sepolto nel sacrario di Redipuglia. Cadde mentre era impegnato sul fronte dell'Isonzo per la conquista del Monte santo, sull'altopiano della Bainsizza. Dedito all'insegnamento, aveva dovuto lasciare la scuola, “dove con fervore di apostolo profondeva tutta la sua bontà e il suo amore alla educazione e all'istruzione dei figli del popolo”. Il 19 agosto 1917, mentre in testa al suo plotone si lanciava all'assalto, veniva dilaniato da una bomba a mano scagliatagli contro dalle truppe nemiche.
Canicattì pensò bene di ricordare i suoi eroi tutti insieme, dedicando loro, proprio nel cuore della città, nel largo Savoia, vicino alla chiesa di San Diego, un monumento attorniato da tanti pini, 251 come i caduti, all’interno di un nuovo grande parco, detto il Parco della Rimembranza. Sul tronco di ogni albero fu inciso, su una targa in metallo bianco con bordo blu, il nome di un caduto. L’iniziativa era stata promossa già nel 1919 da un comitato di cittadini che avevano a tale scopo intrapreso una raccolta di fondi.
L’inaugurazione del Parco avvenne alle otto del mattino del 10 maggio 1924 con grande solennità, la massima possibile in quel tempo, e cioè alla presenza del capo del governo Benito Mussolini. Il discorso ufficiale fu tenuto dal generale Luigi Gangitano, padre di uno dei caduti, il tenente Federico; seguì l’intervento di Mussolini. Il cerimoniale fu curato dalla Regia Scuola Complementare “Salvatore Gangitano”, che si avvalse dell’opera della Guardia d’onore che era stata appena istituita con Regio Decreto del 9 dicembre 1923.
Il Monumento ai Caduti, opera dello scultore palermitano Leopoldo Messina, raffigurava la Minerva Italica. L’opera fu scelta a seguito di un pubblico concorso di idee. Il parco era circoscritto da una artistica e robusta inferriata che si alzava su un muretto in blocchi di pietra bianca. All’ingresso un cancello monumentale sorretto da pilastri in pietra bianca dura. Il parco, curato dai componenti della locale sezione degli ex combattenti e reduci, era meta dei cittadini e delle scolaresche e costituiva altresì un polmone di verde nel centro della città. Il 24 maggio 1931, nel sedicesimo anniversario della dichiarazione di guerra, nel Parco della Rimembranza fu collocata una copia della campana di Rovereto.
Dalla guerra fecero ritorno in città circa novanta tra mutilati ed invalidi. Il conflitto aveva interrotto lo sviluppo economico che aveva caratterizzato i decenni tra fine Ottocento ed inizio Novecento. Le campagne si erano spopolate e, per provvedere alla fornitura di carbone, si era avuto un vero e proprio disboscamento del territorio. All’interno dei feudi la mafia si era sostituita alla polizia rurale, ricevendo in taluni casi perfino degli elogi, da parte di autorità dello Stato, per l’efficienza dimostrata nel mantenimento dell’ordine.
Ben presto si ebbero tumulti sociali e politici da parte di cittadini alle prese con problemi di sopravvivenza: nel 1919 il prezzo del frumento risultò quadruplicato rispetto agli anni antecedenti allo scoppio del conflitto e fu avvertita una grave carenza di generi di prima necessità. La crisi esasperò gli animi dei cittadini che, il 2 maggio 1919, scesero in piazza per protestare contro il tesseramento del pane e della pasta imposto dall’amministrazione comunale. La crisi determinò anche un forte aumento della criminalità: nel solo 1919 in città si contarono 109 omicidi.
Il Parco della Rimembranza ebbe purtroppo una fine ingloriosa. 
Al vertice della civica amministrazione il 21 agosto 1945 si insediò, come commissario prefettizio, l’avvocato Francesco Macaluso, storico esponente socialista da poco iscritto al Partito d’Azione, che rimase in carica per pochi mesi, fino al 19 gennaio 1946. Durante i pochissimi mesi della sua gestione commissariale, Francesco Macaluso adottò una delibera che avrebbe segnato la fine dello splendido Parco della Rimembranza. Al termine della seconda guerra mondiale, all’interno delle varie amministrazioni social-comuniste che governarono la città e in alcuni ambienti cittadini progressisti, andò maturando l’idea che il Parco della Rimembranza, opera del ventennio fascista e profanata dalla presenza, alla cerimonia di inaugurazione, dello stesso capo del governo Benito Mussolini, andasse rimosso. Queste considerazioni non potevano comparire in delibera e si scelse pertanto una via più tortuosa ma efficace.
Nel settembre del 1945 Francesco Macaluso, assistito dal segretario capo del Comune dottor Gaetano Marchica, adottò una delibera dal titolo volutamente anodino: “Provvedimenti inerenti il Parco della Rimembranza”. In premessa veniva riportato il parere del capo dell’Ufficio Tecnico ingegnere Insalaco: “Gli eventi bellici che si abbatterono sulla nostra città danneggiarono fortemente il Parco della Rimembranza, abbattendo circa il 30% degli alberi votivi. Il recinto fu completamente divelto ed ora tutto il campo consacrato ai nostri Caduti è alla mercé dei vandali. Urge ripristinare l’opera ed usare tutti gli accorgimenti necessari affinché il Parco sia ricondotto alla sua antica sacra funzione. Mi permetto perciò sottoporre a suo giudizio quanto segue: considerato che gli alberi scelti dapprincipio hanno avuto forte sviluppo e con il loro rigoglio hanno sorpassato e sopraffatto il locale del Regio Ginnasio, arrecando oscurità e umidità in tutto un edificio le cui esigenze precipue sono salubrità e luce; considerato che le lunghe radici degli alberi esistenti possono minacciare la stabilità dell’edificio stesso, si reputa necessario l’abbattimento totale degli alberi di alto fusto che si potranno sostituire con piante nane e forse più belle disseminate in aiuole tagliate a regola d’arte”.
Il tecnico passava quindi a calcolare il peso degli alberi ancora esistenti, soltanto 116 e tutti “di essenza di pino casuarina”, ed il guadagno che sarebbe derivato dalla vendita della legna: calcolando un peso medio di 5 quintali ad albero ed un prezzo di £ 300 al quintale ed un ricavo della granaglia di £ 10.000 a corpo, si arrivava ad ipotizzare un introito per il Comune di 184.000 lire. Il tecnico non volle o, più probabilmente, non poté suggerire una via più semplice ma in grado di salvare il Parco: eliminare le piante che potevano danneggiare l’edificio scolastico e sistemare il resto. Il commissario prefettizio accettò in toto la proposta del tecnico ed indisse un’asta pubblica per l’abbattimento, la pezzatura e il trasporto delle piante.
Sabato 15 dicembre 1945, sul Foglio Annunzi Legali per la Provincia di Agrigento, edito a cura della Regia Prefettura, compariva, a pagina 110, l’avviso a pagamento n. 159, datato 10 novembre 1945 e firmato dal commissario prefettizio Macaluso, che indiceva per il 10 gennaio 1946 l’asta pubblica per la vendita delle 116 piante. L’avviso comparve anche nella rubrica Piccoli avvisi del Giornale di Sicilia di martedì 18 dicembre 1945 e fu affisso negli albi pretori di vari comuni della Provincia. L’asta andò deserta e il 10 gennaio 1946, alle ore 11, il commissario prefettizio Francesco Macaluso ed il segretario capo Gaetano Marchica stilarono il “verbale di diserzione di asta”.
Il 31 luglio 1947 il sindaco comunista Francesco Cigna, appena insediato alla guida della civica amministrazione, tornò alla carica e indisse una licitazione privata per la vendita degli alberi. Alla seduta di Giunta, verbalizzante il segretario capo signor Luigi Ciccotta, parteciparono, oltre al sindaco, gli assessori Pasquale Gazzara, Carmelo Fazio Gelata, Carmelo Antinoro e Calogero Carusotto.
La licitazione privata col sistema della busta chiusa, cui furono invitate 22 ditte, si svolse il 5 ottobre 1947, alle ore 10, nel Gabinetto del Sindaco: risultò aggiudicatario il signor Vincenzo Lo Giudice fu Diego, di anni sessantanove, residente in via Torino, n. 60. I lavori di abbattimento furono completati in data 1°.12.1947.
Il 22 aprile 1948 il sindaco Francesco Cigna affittava a Vincenzo Di Rosa l’ormai ex Parco della Rimembraza, declassato a “giardinetto di Largo Fontanella”, al canone annuo di £ 500 e con l’impegno da parte del Di Rosa a fornire gratuitamente al Comune corone e mazzi di fiori in occasione delle feste nazionali e solennità varie.
Di ricostruzione del Parco ormai non si parlava più e, poiché il Monumento ai Caduti era rimasto nudo nel degrado circostante, ci si premurava di trovargli una collocazione dignitosa. Il 21 maggio del 1949, in Consiglio Comunale, il prosindaco socialista Carmelo Antinoro, che presiedeva la seduta, faceva notare che il posto ove si trovava il Monumento ai Caduti non era “decoroso” e quindi si riteneva opportuno trasportarlo nella Piazza dove in atto si trovava l’abbeveratoio Acquanuova, “previa decorosa sistemazione”.
Come utilizzare lo spazio lasciato libero dal Monumento ai Caduti? Il Consiglio Comunale diede prova di estrema efficienza. La delibera relativa allo spostamento del Monumento ai Caduti portava il n. 62. La proposta di utilizzazione dello spazio reso libero portava il n. 63 e fu ovviamente discussa nella stessa seduta di Consiglio del 21 maggio 1949. Il prosindaco Carmelo Antinoro pose in votazione uno schema di bando di concorso per la costruzione nell’ex Parco della Rimembranza di un Cinema-teatro; a tale scopo veniva messa a disposizione una superficie di 1.500 mq che sarebbe stata ceduta al prezzo di £ 5.000 al metro quadro. Ma non se ne fece nulla.
Il 17 novembre 1954 la Giunta, presieduta dal sindaco democristiano Giuseppe Signorino, decise lo spostamento del Monumento ai Caduti. Il trasloco del Monumento ai Caduti fu effettuato il 12 luglio 1955. L’amministrazione comunale prendeva atto dell’impossibilità di trovare una soluzione più dignitosa e decideva di spostare il Monumento ai Caduti dall’ex Parco della Rimembranza, ormai privo di piante, ringhiere, cancello e completamente abbandonato, in una piccola aiuola, all’incrocio di corso Umberto con la via Torino.
Sistemato il Monumento ai Caduti ed eliminato l’ingombro della vecchia fontana dell’Acquanuova, il Consiglio Comunale di Canicattì in data 11.4.1956 poteva procedere con tutta tranquillità alla ratifica della delibera n. 94 del 15.3.1956 con la quale la Giunta Municipale, presieduta dal sindaco Signorino, aveva concesso alla Società AGIP Petroli gli spazi comunali di contrada Acquanuova per l’installazione di un rifornimento di benzina.
Oggi sarebbe impossibile ripristinare il glorioso Parco della Rimembranza. Mi permetto suggerire alla Civica Amministrazione la collocazione, all’interno dell’aiuola del Monumento ai Caduti, di due stele in bronzo con incisi i nomi dei caduti della prima e della seconda guerra mondiale: sarebbe un modo per riparare, in parte, l’offesa arrecata agli eroi canicattinesi con l’eliminazione del Parco, offrendo al contempo a tutti l’opportunità di ricordare e onorare quanti hanno perso la vita per la Patria.

GAETANO AUGELLO

Foto Enzo Gallo

Staff Siciliafan