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Celiachia: cause, sintomi, diagnosi e cura di una malattia digestiva antichissima

La celiachia viene nominata per la prima volta da Areto da Cappadocia, che nel 250 d.C. scriveva dei “koiliakos” (“coloro che soffrono degli intestini”). Nel 1856, Francis Adams, tradusse questo termine dal greco all’inglese, coniando l’espressione “celiaci”. Nel 1888, Samuel Gee descrisse dettagliatamente i sintomi di questa condizione in adulti e bimbi, predicendo che l’unico trattamento di questa condizione consisteva nella dieta adeguata, con pochi alimenti derivati dalla farina. Solo a metà del XX secolo, fu chiarito che la celiachia si manifesta in alcune persone in seguito all’ingestione di proteine del grano che danneggiano la mucosa intestinale. Oggi sappiamo che la celiachia è una malattia digestiva di origine genetica. Per capire al meglio i problemi che presentano coloro che ne soffrono, dobbiamo partire da 10.000 anni fa : al termine dell’ultima glaciazione, quando l’Europa era ancora coperta dai ghiacci,  il sud–est asiatico fu il teatro delle prime coltivazioni di grano. Con l’introduzione di tali coltivazioni, l’organismo, che veniva dall’Età della Pietra, conobbe il glutine e assunse un carico metabolico tutto nuovo, un carico di acidità e fermentazione (amidi complessi) e di detriti insolubili (lectine), che richiedevano una nuova generazione di microrganismi spazzini in grado di coadiuvarne lo smaltimento, facendo da cuscinetto nell’intestino contro queste novità.

La celiachia è l’intolleranza permanente al glutine, ossia alla componente proteica che si trova nel frumento (comunemente chiamato “grano”), e in altri cereali (farro, orzo,segale, avena, kamut, malto ecc). Si tratta di unapatologia autoimmune, chiamata anche“morbo celiaco” o “sprue celiaca”: nel celiaco, l’ingestione incontrollata di glutine attiva in maniera anomala il sistema immunitario, che risponde rifiutando il glutine e danneggiando l’intestino. Le pareti intestinali (ossia la mucosa) sono formate da miliardi di villi, piccole strutture sottili e allungate che formano tra loro delle anse, permettendo l’assorbimento delle sostanze nutritive. Nei celiaci, la reazione della mucosa intestinale appiattisce queste anse e causa malassorbimento. I villi si atrofizzano, la mucosa si appiattisce e non svolge più il suo lavoro di assimilazione dei nutrienti (ferro e altri minerali, vitamine, zuccheri, proteine, grassi ecc.). Il ruolo della componente genetica è dimostrato dalla ricorrenza familiare della celiachia (circa 10 volte più comune nei parenti di primo grado rispetto alla popolazione generale), anche se esistono eventi precisi del corso della vita che possono favorirne lo sviluppo (es. una gravidanza, un intervento chirurgico, un’infezione virale o lo stress acuto). Secondo il National Institute of diabetes and digestive and Kidney diseases americano, l’allattamento al seno potrebbe giocare un ruolo positivo nello sviluppo della malattia, svolgendo una funzione protettiva o per lo meno ritardandone la comparsa.

La maggior parte delle persone affette da celiachia hanno problemi generici (diarrea intermittente, perdita di peso, carenze nutritive multiple, dolori addominali, debolezza generale, feci maleodoranti o grigiastre che sembrano grasse o oleose, difficoltà di crescita nei bambini). I sintomi di celiachia possono simulare quelli di altre malattie (color irritabile, ulcere gastriche, morbo di Crohn, infezioni parassitarie ecc). Altri individui, invece, riportano sintomi cronici spesso estranei all’apparato digerente (eczemi cutanei, crampi muscolari, debolezza muscolare, formicolii, disturbi psichici, cambiamenti del comportamento come irritabilità o depressione ecc.). Attualmente la diagnosi si effettua mediante dosaggi sierologici : gli AGA (anticorpo antigliadina di classe IgA e IgG), gli EMA (anticorpi antiendomisio di classe IgA). Recentemente è stato messo a punto un nuovo test per il dosaggio di anticorpi di classe IgA (gli anti-transglutaminasi); anche se per la diagnosi definitiva di celiachia è indispensabile una gastroscopia con biopsia dell’intestino tenue, eseguita dal chirurgo introducendo un tubicino lungo e sottile attraverso bocca e stomaco del paziente, fino ad arrivare all’intestino tenue, prelevando campioni di tessuto con strumenti passati attraverso l’endoscopio. Dall’esame istologico è possibile determinare l’atrofia dei villi intestinali.

Ma ci sono nuove notizie, dal momento che i ricercatori del Walter and Eliza Hall Institute hanno sviluppato un nuovo test più semplice e accurato per diagnosticare la celiachia, che si esegue con un semplice esame del sangue. Esso misura il rilascio di citochine, ovvero la risposta delle cellule T del sistema immunitario al glutine. Se la risposta è positiva, si tratta di celiachia. I medici possono suggerire al celiaco di rivolgersi a un dietologo per elaborare una dieta senza glutine che, nella maggior parte dei casi, farà scomparire i sintomi, curando i danni intestinali precedenti e prevenendone il peggioramento. Per stare in salute, i celiaci devono evitare il glutine e se in alcuni soggetti non ci sono miglioramenti, ciò potrebbe essere dovuto ad un’assunzione involontaria di piccole quantità di glutine. Tra le fonti di glutine nascoste:  additivi, come l’amido modificato, i conservanti e gli stabilizzanti a base di frumento. In casi rari, i danni all’intestino continueranno a manifestarsi, nonostante la dieta del tutto priva di glutine: si parla di celiachia refrattaria. Poiché l’intestino di chi ne soffre non assorbe sufficientemente sostanze nutritive, potrebbero aver bisogno di riceverle direttamente nel sangue, per via endovenosa.

Caterina Lenti 

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Staff Siciliafan