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Chemio killer per Valeria Lembo: per il giudice fu “un assassinio”

Quello di Valeria Lembo fu "un assassinio", "la più grave colpa medica mai commessa al mondo". È quanto scrive il giudice Claudia Rosini nelle motivazioni della sentenza che condanna medici e infermieri del reparto di Oncologia del Policlinico di Palermo, dove il 7 dicembre 2011 la donna di 33 anni, madre di una figlia di 7 mesi, fu trattata con una dose letale (10 volte superiore alla prescrizione: 90 milligrammi invece di 9) del chemioterapico vinblastina utilizzato per curare il morbo di Hodgkin, un linfoma guaribile.

La paziente morì per avvelenamento 22 giorni dopo e non è escluso che potesse salvarsi: "Solo un ricambio completo del sangue, subito, avrebbe potuto dare una speranza alla paziente. Invece, per ben 5 giorni quell'errore venne mascherato come una gastrite post chemio", scrive il giudice. E il medico specializzando Alberto Bongiovanni, che "scriveva sotto dettatura e non aveva idea di cosa fosse la vinblastina, cancellò lo zero in più" dalla cartella clinica, invece di ammettere l'errore e cercare una soluzione.

Sulla situazione del reparto l'analisi del giudice è impietosa: l'oncologa Laura di Noto, condannata a 7 anni, è descritta come "una copiatrice di dati, scelta dal primario Sergio Palmeri (condannato a 4 anni e mezzo, ndr) perché sempre presente. Una dottoressa che aspettava indicazioni del sovradosaggio da un'infermiera". Il primario, secondo il giudice, era circondato da "fidati vassalli" e l'organizzazione del reparto era "affidata al caso".

Fausto Rossi