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Una storia di oblìo, ma dopo trent’anni torna finalmente a casa. È una storia a lieto fine – ma anche un viaggio attraverso luoghi ed epoche – quella che riporterà a casa, a Comiso, un teschio del 1700 rimasto a lungo pressoché dimenticato in un museo di anatomia patologica.
L’iniziativa prende impulso dall’Assessorato ai Beni Culturali della Regione Sicilia diretto da Carlo Vermiglio, e dalla Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Ragusa, diretta da Calogero Rizzuto.
Un ritorno dovuto (dopo circa tre decenni), per il rispetto che si deve a questo tipo di reperti ma anche perché il cranio di Comiso racconta una lunga e bella storia.
Il teschio (una volta custodito nella
chiesa di Santa Maria della Grazia, appartenuta ai frati Cappuccini prima delle leggi di soppressione del 1866) è infatti trapanato. Rappresenta, quindi, un esempio di neochirurgia del Settecento siciliano di grande interesse scientifico.
«Il cranio di Comiso – spiega Dario Piombino-Mascali, ispettore onorario per il patrimonio mummificato della Regione Siciliana, che ha riportato il reperto nell’isola  – rappresenta una importante testimonianza di pratica chirurgica, applicata al soggetto in questione per curare delle complicazioni post-traumatiche, forse determinate da uno strumento dentellato come arma lesiva. Furono quelle stesse complicazioni a indurre un medico o un barbiere locale a praticare la trapanazione, di natura piuttosto grossolana. Il soggetto, un uomo adulto, sopravvisse a lungo dopo l’operazione, esito della sua buona riuscita». 
Il lungo viaggio del cranio ragusano inizia nel 1987, quando le mummie conservate nella cappella mortuaria della chiesa furono sottoposte ad autopsia da parte di un team dell’Università di Pisa. E lì sarebbe ancora, se non fosse stata avviata questa importante operazione di rimpatrio.
Il reperto verrà ricollocato nella cripta d’origine entro la fine del 2016 nell’ambito del Progetto Mummie Siciliane, che studia l’insieme delle deposizioni isolane dal 2007.

 Foto di Franco Trifirò