Girolamo scrive che Diodoro fiorì nel 49 a.C. e questa data pare confermata dalle stesse parole dello storico greco. Il più antico tratto autobiografico che egli segnala nella sua opera è il suo viaggio in Egitto durante la 180ª Olimpiade (fra il 60 e il 56 a.C.). In quell'occasione egli fu testimone della rabbia della gente che chiedeva la pena di morte per un cittadino romano reo di aver ucciso accidentalmente un gatto, animale sacro agli Egizi (Bibliotheca historica, 1, 41 e 1, 83). Il dato storico più recente invece è la menzione della vendetta di Ottaviano sulla città di Tauromenium, colpevole di avergli rifiutato l'aiuto che sarebbe stato necessario ad evitare la disfatta sul mare attorno al 36 a.C. Poiché Diodoro sembra non sapere che l'Egitto diventò una provincia dell'Impero romano – il che avvenne nel 30 a.C. – è presumibile che egli abbia pubblicato la sua opera prima di quella data.
L'opera
Diodoro stesso informa di aver dedicato trent'anni della propria vita (quindi all'incirca dal 60 a poco prima del 30 a.C.) alla realizzazione della sua Biblioteca, durante i quali compì numerosi e pericolosi viaggi in Europa e in Asia utili alle sue ricerche. Alcuni critici hanno sollevato dubbi su tale testimonianza, perché il testo di Diodoro presenta alcuni errori in cui difficilmente un testimone oculare sarebbe incorso.
Diodoro presenta la sua opera, la Bibliotheca historica, come una storia universale dalle origini del mondo alle campagne di Cesare in Gallia e in Britannia. Era composta da 40 libri, suddivisi successivamente in pentadi e decadi. L'opera non si è conservata integralmente. A noi sono giunti completi i primi 5 libri (sull'Egitto [libro I], sulla Mesopotamia, sull’India, sulla Scizia e sull’Arabia [II], sull’Africa settentrionale [III], sulla Grecia [IV] e sull’Europa [V]) e i libri XI-XX (dal 480 e dai diadochi al 301 a.C.). Possiamo tuttavia trarre alcuni dati sull'opera e ricostruirne l'impianto grazie ai numerosi estratti di epoca medievale (contenuti negli scritti di Fozio e Costantino Porfirogenito) e ai numerosi frammenti che ne rimangono. Dal momento che la parte finale è perduta, non si sa se Diodoro tenne fede ai suoi propositi di giungere fino alle campagne di Cesare o se, come sembra probabile, vi abbia rinunciato fermandosi al 60 a.C.
Nel proemio sono enunciate le finalità dell'opera: innanzitutto giovare a tutti gli uomini, garantendo loro la conoscenza di quella comune esperienza umana che è la storia e offrendo loro un insegnamento, esente da rischi, di ciò che è utile; quindi, secondo un'ideologia stoica, tentare di riunire sotto un unico ordinamento tutti gli uomini, tutti cittadini del mondo anche se divisi nello spazio e nel tempo.
L'ambizioso progetto proemiale, però, si risolve, come eloquentemente rivela il titolo, in una biblioteca, in un'antologia delle fonti, un repertorio di libri – riletti, revisionati o copiati – di altri autori (Ecateo, Ctesia di Cnido, Eforo, Teopompo, Timeo, Duride, Ieronimo di Cardia, Polibio, Posidonio, gli annalisti romani).
È poco corretto considerare Diodoro come mero ripetitore delle sue fonti, secondo un diffuso pregiudizio di matrice ottocentesca. In ogni caso la sua opera risulta molto utile agli studiosi moderni, poiché consente di recuperare, pressoché intatti nella loro forma originale, testi di autori altrimenti perduti. L'opera di Diodoro è infatti stata,giustamente, considerata alla stregua di un "libro-biblioteca"[1], ossia un libro fatto di altri libri, quelli che, appunto, Diodoro leggeva e che ha riassunto o epitomato nella sua opera, che svolge un fondamentale ruolo di conservazione e trasmissione del sapere.
Il greco di Diodoro è quello della koinè, il greco colloquiale, nel quale si inseriscono talora tratti classicistici in puro attico.
L'editio princeps della Biblioteca fu la traduzione latina che Poggio Bracciolini fece dei primi cinque libri (Bologna 1472). La prima riproduzione del testo greco avvenne per opera di Vincentius Opsopoeus (Basilea 1535), ma era limitata ai soli libri XVI-XX. La prima edizione completa anche dei frammenti fu invece l'Edizione di Stephanus (Henry Estienne) (Ginevra 1559).
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