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423244_10150731850379505_713744696_n“Lu tri di maiu” è la festa del SS.Crocifisso, patrono di Siculiana. Una festa molto amata dai siculianesi, specialmente da quelli che non vivono più in paese.
Una festa in cui religione e folklore si danno la mano per creare un’atmosfera tutta speciale…
Si svolge nei primi tre giorni del mese di maggio, ma si può dire che, specialmente fino a qualche decina di anni fa, il periodo di preparazione si dilungava almeno per tutta la primavera.
La gente spesso faceva pitturare a nuovo la casa, cambiava, o almeno lavava le tende, faceva le grandi pulizie…
Nei giorni di festa, infatti, capitava spesso di vedersi arrivare ospiti o di ricevere la visita di amici o parenti che vivevano all’estero o al nord. 
Ma una delle preoccupazioni maggiori , specie nelle famiglie numerose, erano ”li vesti di lu tri di maiu” , le toilettes da sfoggiare per la festa. La tradizione infatti voleva che il 2 maggio, per la funzione della “Calata del velo”, in cui si toglie la tenda che fino ad allora aveva celato la statua del Crocefisso nero, la gente indossasse vestiti ed accessori nuovi di zecca, che avrebbe sfoggiato anche il giorno dopo per la processione e per la “cassariata” ( passeggiata lungo il corso e la piazza illuminati a festa).
, In genere si trattava di tailleurs primaverili o di vestiti di seta con “spolverini “(soprabiti).
Quando si andava al “cassaru” ognuno lasciava gli occhi sui vestiti delle altre e a casa si facevano I commenti: chi era più elegante, chi più sciatta, chi più pacchiana, chi troppo truccata, e chi…”mischini su affamigliati” ( poverini hanno una famiglia numerosa e non si possono permettere indumenti cari)
Per evitare commenti di quest’ultimo genere la gente spesso faceva “detta”(debiti) o comprava”a cridenza”( a credito).
I preparativi per ”li vesti di lu tri di maiu” erano lunghi e laboriosi specie quando la moda pronta non era ancora molto diffusa.
Ricordo che i miei andavano ad Agrigento prima a comprare la stoffa , poi per portarla alla sarta, poi per le prove e infine per acquistare le scarpe e la borsetta analoghe…una volta ricordo che mia madre e mia zia andarono anche dalla modista e si fecero confezionare dei buffi cappellini.
Per le bambine era d’obbligo “la vesta cu li grazza curti “ (il vestitino a maniche corte): Ricordo le grandi lotte che da bambina avevo dovuto sostenere perchè I miei genitori si adeguassero a questa usanza. Fino ad una certa età infatti avevo subito la grande umiliazione di indossare vestitini a maniche lunghe e giacche piuttosto pesanti perchè i miei genitori temevano che mi raffreddassi, ma verso inove anni dichiarai che non sarei uscita se non avessi avuto un vestitino a maniche corte come quelli delle mie compagne di classe. Ricordo che I miei cercarono di aggirare l’ostacolo facendomi confezionare un vestito di seta che aveva, si le maniche corte, ma era completato da una giacca .
Io, il due pomeriggio, avevo indossato entrambi i pezzi, ma la mattina del tre, non c’era stato verso di convincermi: o mi facevano mettere “li grazza curti”, o non sarei andata in chiesa per la messa solenne…
Inutilmente mamma mi faceva notare che portavo ancora la maglietta intima a maniche lunghe che sarebbero uscite fuori da quelle corte del vestito e sarebbe stato ridicolo…ricordo che mi chiusi in bagno e girai le maniche della maglietta così tante volte da portarle ad una lunghezza inferiore di quelle del vestito, mettendo così in mostra in tutta la loro magrezza le mie braccine livide dal freddo. E così uscii…
Oggi ripenso a quell’immagine con raccapriccio, ma in quel momento io ero veramente felice: avevo la mia “vesta di lu tri di maiu cu li grazza curti” come tutte le altre bambine!
Poi col passare degli anni e l’affermarsi della moda pronta cominciarono le laboriose ricerche e le prove nei negozi di Agrigento…
Ricordo Il periodo in cui si affermarono le fibre sintetiche: alcune delle mie amiche sfoggiarono dei vaporosi vestiti di Nylon e le altre le guardavamo con un po’ d’invidia , poi qualcuno mise in giro la voce che, in fotografia, il nylon non impressionava la pellicola, e io, che ho sempre amato fotografare, pensavo a come sarebbe stato divertente avere una foto delle mie amiche in sottoveste…
A diciotto anni, matricola all’università di Palermo e piena di idee sull’emancipazione femminile, comunicai ai miei genitori che non volevo più vestiti nuovi per il “tri di maiu” perchè era un giorno come tutti gli altri e non volevo adeguarmi a queste usanze “retrograde e superate”… ed uscii a “cassariarmi” con le amiche indossando una gonna pied de poule ed un maglione.

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