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Job Act: ovvero cosa sarà dei lavoratori dopo la riforma del welfare

Non abbiamo fatto a tempo a protestare contro le scorse riforme col falciotto all’articolo 18, che arriva il Job Act: licenziamenti senza giusta causa a pioggia e indennità con l’avanzare dell’età.

Ha ormai ricevuto il sì del Parlamento la riforma del welfare del premier Renzi, che necessita solo di un paio di decreti e poi potrà entrare in funzione: se sei un imprenditore con più di 15 dipendenti, sarà molto più facile lasciare a casa un neo-lavoratore; sì, perché d’ora in poi il datore di lavoro potrà licenziare anche per motivi disciplinari a.k.a. se gli stai sulle scatole, oppure per ragioni economiche.

In quest’ultimo caso, il lavoratore, una volta fatto ricorso al tribunale competente potrà ricevere un risarcimento, ma solo in denaro. Il posto? Lo riotterrà solo nel caso in cui il licenziamento sia stato dovuto a motivi di provenienza, sesso, credo politico, o a seguito di gravi discriminazioni del primo caso.

Insubordinazione? Persino a scuola hanno abolito il 7 in condotta, e lì servirebbe.
Il licenziamento senza giusta causa, favorisce solo la proliferazione di Kapò e capetti, personaggi che non hanno la minima idea di come fare il leader, che pensano anzi che guidare un’azienda significhi tenere in mano il bastone e la carota, e che i dipendenti non siano un asset, ovvero una risorsa preziosa per il Paese e il proprio prodotto o servizio, bensì schiavi da tenere sotto giogo sennò guai.

Sempre nelle aziende con più di 15 dipendenti, (quindi il grosso del tessuto imprenditoriale del nostro Paese), cambieranno anche le indennità di licenziamento: risarcimenti in denaro lunghi quanto la carriera passata in azienda, ovvero un mese e mezzo di stipendio per ogni anno di servizio, fino ad un massimo di 24 mensilità.

E giusto per ricordarci che ‘a palazzo’ non sono cattivi, ecco arrivare per i lavoratori scintillanti gabbie d’oro, ovvero tante belle museruole di soldi, per far sì che se ne vadano zitti zitti dalla porta sul retro e belli contenti tanto c’è il Dio Denaro. Ma non era proprio questo il problema della globalizzazione, del Sistema sul quale ci basiamo? Non era l’avidità che aveva portato l’Occidente al crollo che ha causato una crisi dalla quale ancora si fa fatica a riprendersi?

A cambiare infatti saranno anche i sussidi di disoccupazione, che verranno estesi anche ai lavoratori precari con contratti a scadenza (a progetto o su collaborazione). Anche qui, l’aiuto sarà proporzionale agli anni di carriera del dipendente, attraverso l’unificazione di Aspi e Mini-Aspi, le due sovvenzioni che venivano offerte fino a oggi ai lavoratori precari con una carriera più solida e continua nel primo caso, e più breve e discontinua nel secondo.

Ovvero un modo un po’ arruffato e torbido per tamponare il problema della disoccupazione e fare spazio quanto il più possibile ai nuovi assunti. Ma non è così che si costruiscono le vere opportunità di lavoro, e non è nemmeno così che si forgia il Sistema sulla meritocrazia.

Insomma dal 2015 non si andrà al lavoro si andrà sul patibolo. Lavorare non sarà più piacevole, sarà una sorta di ricatto con mitra puntato, e proprio ora che il Paese soffre di più gli effetti della crisi; in pratica un balzo indietro di quasi un secolo. Eh già, perché dove sono i sindacati in tutto questo? CGIL ha indetto uno sciopero generale il 12 di dicembre, a cui in un secondo momento ha aderito UIL; CISL invece, si accontenta di manifestazioni a scopo informativo da sparpagliare a chiazza di leopardo sulla Penisola.

L’unica novità che al momento sembrerebbe essere del tutto positiva, arriva dal fronte delle neo-assunzioni: verranno abolite le forme di contratto a progetto e di collaborazione continuativa (Co. Co. Co. e Co. Pro.), secondo le regole che verranno stabilite dai decreti attuativi; chi fosse stato assunto con uno di questi contratti, continuerà a godere del rapporto fino al suo esaurimento.

Autore | Enrica Bartalotta

Staff Siciliafan