L’arrivo degli Arabi e la rivoluzione agricola in Sicilia

827 d.C. gli Arabi sbarcano a Mazara, inizia l'invasione della Sicilia che sarà ultimata solamente nel 965 d.C. con la caduta di Rometta, dopo 138 anni di resistenza isolana.

Questo articolo però vuole concentrarsi sulle conseguenze "economiche" della vita siciliana di quel periodo, molto spesso si sente dire che la Sicilia pre-invasione fosse pesantemente gravata dal fiscalismo Bizantino che non ne permetteva un grande sviluppo economico e che, ricordiamolo, a quei tempi era tutto basato sull'agricoltura. Agricoltura che, secondo molti luoghi comuni,  sembra fosse quasi sconociuta nell'isola prima dell'arrivo degli Arabi, il che è ironico visto che sappiamo che in epoca Romana la Sicilia era uno dei maggiori produttori di grano, da addirittura indurre i Romani ad aggiungere nell' antichissima simbologia della Triscele le spighe ad indicare la fertilità della nostra isola.

Lo storico Denis Mack Smith nel suo "Storia della Sicilia medievale e moderna" indica che a causa dell'arrivo degli Arabi molte aree furono disboscate e i campi coltivati furono dati alle fiamme per l'insediamento, ma anche per la necessità di legno duro, scarso in Nord Africa, per la costruzione di navi di cui necesitavano gli Arabi per il dominio marittimo nel Mediterraneo.

Inoltre afferma che, probabilmente a causa del deliberato vandalismo degli eserciti invasori, la coltivazione degli ulivi venne abbandonata, e il Nord Africa si sostituì alla Sicilia nella produzione di olio che era stata in età Greca, Romana, Germanica e Bizantina una grossa fonte di ricchezza.

 

Il grande storico Francesco Renda ci indica che essi operarono più che altro nell'impiego di tecniche idrauliche a scopo irriguo agricolo, infatti la coltivazione della  vite, dei cereali e dell'ulivo non richiedeva l'irrigazione che al contrario risultava necessaria per la produzione della canna da zucchero, arancio amaro e vari ortaggi.

 

Quindi alla cultura arida delle produzioni tradizionali si aggiunse la cultura irrigua delle nuove produzioni e, come avviene anche in natura, la funzione creò l'organo: cioè l'acqua divenne un bene economico.

Il sistema di trasportarla dalle sorgive ai luoghi di coltura, come anche il modo di raccoglierla e conservarla per farne uso al momento necessario, divenne un'arte tutta speciale, nella quale gli agricoltori Arabo/Berberi divennero maestri.

Ma le tecniche idrauliche non erano brevetti Arabi o Berberi portati in Sicilia dalla dominazione islamica, ma vecchie invenzioni applicate dalla ingegneria Romana nella irrigazione dei campi. Come è noto, i Romani furono veramente insuperabili nelle applicazioni idrauliche (basti pensare agli acquedotti per rifornire le città del prezioso alimento), e poiché essi non esercitarono il dominio solo nel Nord Africa, ma anche in Sicilia, è da presumere che quelle tecniche, oltre che nel Nord Africa già da tempo fossero praticate anche nell'isola.

Nell'agricoltura musulmana, il rapporto delle colture aride e delle colture irrigue fu rovesciato sostanzialmente.

Lo storico Nicolò Palmeri nella sua "Somma della Storia di Sicilia" ci parla anche di un altro fattore da prendere in considerazione, ossia dell'imposizione del "kharāj"       (ﺧﺮﺍﺝ) una speciale tassa sui possedimenti fondiari che gravava sui "dhimmi" che erano le popolazioni sottomesse, Cristiani ed Ebrei dunque. Questa tassa consisteva nella decima parte del raccolto, ed era proporzionale alla "ricchezza" dell'agricoltore, per cui più coltivava e più pagava, causando l'effetto di farlo coltivare il meno possibile.

Inoltre ci dice che il solo Emiro Jusuf possedeva circa 14000 giumente con la quale doveva regolare la sua pastorizia, dunque il numero di tutto il suo bestiame (composto da capre probabilmente) doveva essere enorme, da ciò  si evince che le aree incolte erano sicuramente parecchie.

C'è da tener presente  anche che l'agricoltura musulmana di Sicilia era circoscritta ad alcune aree della Sicilia occidentale ed era riserva privilegiata della popolazione dominante dalla quale era esclusa la popolazione dominata, ossia tutti quanti i Cristiani e gli Ebrei soggetti alla "dhimma".

Palmeri esprime infine che:  "non troveremo alcun argomento che ci porti a supporre assai estesa e prospera".

Fu si una rivoluzione, ma in senso più negativo che positivo, la Sicilia dovette aspettare l'arrivo dei Normanni per la ripresa delle sue normali vocazioni agricole d'altronde è recentissima la scoperta fatta dall' archeologo Davide Tanasi dell'Università della Florida Meridionale, a cui hanno preso parte anche il Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr), l'Università di Catania e gli esperti della Soprintendenza ai Beni Culturali di Agrigento, di uno dei vini più antichi del mondo, dai residui su giare di terracotta non smaltata ritrovate sul Monte San Calogero (o Kronio) nell'agrigentino e risalenti all'età del Rame (circa 6000 anni fa). Che dire, i Siciliani sono sempre stati ottimi agricoltori, a prescindere dagli Arabi.

Mauro Corso

 

Foto di Marco Tortorici

 
Mauro Corso