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Nel Paleolitico era una donna a rappresentare l’entità divina più importante per gli Uomini. La “Grande Madre”, un archetipo femminino, spesso rappresentato gravido e senza un volto, che è l’origine di tutte le cose. A essa veniva riconosciuto e attribuito il potere di donare la vita attraverso gli agenti atmosferici, come l’acqua, la terra, la luna, il vento.

Con l’avvento dell’agricoltura, i primi ominidi del Neolitico, iniziarono ad apprendere il loro potere creatore, la dea viene dunque elaborata, diventando non soltanto portatrice di vita ma anche di morte, quella dei raccolti e delle piante. La “Grande Madre” diventa dunque simbolo rappresentatore e protettrice delle messi e della vegetazione, a cui vengono associate diverse simbologie archetipiche che contengono in sé sia il discorso della nascita e della morte, come nel caso del melograno, per via dei suoi semi che sono anche parte del frutto, o della capsula di papavero, ma anche dell’abbondanza e della produttività, come la spiga, che subito diviene l’emblema della dea greca Demetra.

Fu intorno al V millennio a.C. che si ebbe il primo passaggio da una società divina di tipo matriarcale ad una patriarcale, con l’avvento del primo paredro, ovvero di un figlio della dea che si sviluppa e muore nella vegetazione; una sorta di spirito che richiama e giustifica l’alternarsi delle stagioni. Fu così che iniziarono i primi rituali di celebrazione detti anche ‘misteri eleusini’, dalla città di Eleusi, nell’Attica centrale, dove, secondo il mito, Demetra si riposò dopo aver tanto vagato in cerca della sua Kore.

Kore era sua figlia, Persefone, conosciuta con il nome di Proserpina dai Romani. Rapita da Ade che voleva farla sua sposa, fu costretta da Zeus a vivere per metà dell’anno sottoterra e per metà in superficie, per aiutare sua madre nel difficile compito di far germogliare e prosperare la terra. Leggenda narra che Demetra impegnò nove giorni per cercare sua figlia, e che fu proprio quando, esausta, si riposò, che accadde il primo miracolo: la figlia del re Celeo, vedendola affranta, la portò a palazzo. Data tale e tanta accoglienza, Demetra dimostrò la sua riconoscenza al primogenito, Trittolemo, a cui regalò un chicco di grano mai visto prima; la dea infine gli rivelò il segreto per farlo germogliare, ponendo così le basi per lo sviluppo dell’agricoltura.

Per celebrare il ritrovamento di Kore, soffio vitale, simbolo di rigenerazione vegetale e rinascita terrena, i ‘misteri eleusini’, riti propiziatori che spesso culminavano sia con la sepoltura di un seme di grano che nella raccolta dei suoi frutti. Di questo culto, inizialmente legato esclusivamente ad Eleusi, si hanno testimonianze che risalgono già al VII secolo a.C., ma sembra che la loro origine risalga persino al XVIII secolo. I Mysteria proseguiranno fino al 396 d.C., quando Eleusi verrà attaccata dai Visigoti e il noto tempio antico dedicato a Demetra verrà distrutto.
Fu così che presto, i riti della rinascita della natura diventano presto i cerimoniali di iniziazione, volti a portare gli adepti fuori dall’oscurità fin verso la luce della vita. Cadevano due volte l’anno, in febbraio e tra settembre e ottobre, e la festa si prolungava per ben 8 giorni in cui ai banchetti venivano alternati sacrifici e pratiche purificatorie.

Quale importante avamposto della cultura di Grecia, la Sicilia svolse un ruolo particolarmente cruciale nella perpetrazione dei riti eleusini. Conosciuta e apprezzata per la sua abbondante produzione cerealicola, l’Isola tese in maniera pressocché naturale al culto di Demetra e Kore. Enna, soprattutto, fu una città di consistente importanza, così come confermato dallo stesso Dionigi di Alicarnasso. Presso il castello di Lombardia pare infatti fosse situata l’antica acropoli con il tempio dedicato alle due dee; non esistono conferme che presso la Rocca di Cerere, venivano celebrati i Mystes (Cerere era infatti il suo nome per i Romani), se non per quanto indicato da Cicerone nelle “Verrine” e da un’iscrizione dedicata a Demetra, posta ai piedi del noto costolone di roccia.

A pochi chilometri da Enna si trova l’antica città di Morgantina, che sorge in località San Francesco Bisconti; qui, i primi scavi del 1979 hanno portato alla luce un prezioso quanto vasto insediamento archeologico del VI secolo, costituito da importanti santuari e luoghi di culto, dove sono stati rinvenuti saccelli di divinità nonché diverse sorgenti, che secondo le credenze del mondo siceliota e greco erano destinate ai riti di purificazione e passaggio.
Ma oltre alla più nota Dea di Morgantina, dal sito archeologico ennese scomparvero anche preziosi acroliti in marmo che molto probabilmente rappresentavano le dee Demetra e Kore. La stessa statua in marmo e calcare di imponente, pregevole e spettacolare fattura, che gli Americani rubarono a Morgantina verso la fine degli anni Ottanta, potrebbe non essere una Venere; sono in molti a credere che possa essere Persefone oppure, molto probabilmente, Cerere, sia per via della posizione in cui è stata scolpita, ovvero nell’atto di muoversi, sia per la sua imponente fisicità, ben lontana dalle curve più giovani e acerbe di Afrodite.

A Gela, il culto di Demetra passò attraverso quello di Rhea, sua madre, perpetrato e portato in Sicilia da una colonia rodio-cretese del VII secolo a.C.; a conferma rimane il prezioso luogo di culto di Bitalemi, dove oggi sorge la chiesa omonima, nonché le testimonianze rinvenute in località Molino a Vento, e soprattutto presso la parte più meridionale del poggio, ove è situato il santuario del Predio Sola.
E furono rodesi e cretesi anche gli abitanti che fondarono l’antica città di Agrigento, Akragas.
L’arcaica struttura sacrale, denominata “Casa delle Fonti”, è un importante complesso per la raccolta delle acque, che è stato attribuito al noto progettista greco Feace, che lo rese disponibile già intorno al V secolo a.C.; si presume però non fosse usato solo per scopi abitativi o agricoli, ma anche per le celebrazioni dei Mystikos.

Autore | Enrica Bartalotta