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03E chi l’ha detto che il panettone è milanese? C’è qualcuno in Sicilia che giura che il panettone sia isolano. È Nicola Fiasconaro, il noto chef dell’omonima pasticceria di Castelbuono.

7.000 pezzi al giorno, una produzione che dal laboratorio-pasticceria Fiasconaro di Castelbuono, in provincia di Palermo, raggiunge il resto del mondo, a partire dalle otto di sera.
Si perché la produzione nasce proprio a quell’ora, quando il noto chef Nicola Fiasconaro dedica le sue preziose mani alla lavorazione della pasta madre, che servirà a dare vita al noto dolce di origini nordiche.
Era la viglia di Natale, in una Lombardia (il Ducato di Milano) dominata dagli Sforza. Il suo nome si deve a Toni, sguattero nella cucina di Ludovico il Moro, che per un imperdonabile errore del suo capocuoco, dà vita a uno dei dolci più noti della gastronomia italiana. Bruciato il noto dolce realizzato per il banchetto regale, Toni si mette dunque al lavoro per realizzare il ‘Pan de Toni’, un panetto di lievito madre, che aveva messo da parte per il suo Natale, a cui si aggiungono uova, farina, zucchero, uvetta e canditi.

Un’altra storia, più legata alle reali vicende storiche che non alle leggende popolane, sembrerebbe far risalire lo storico dolce da forno, al Medioevo. Sembra infatti che il panettone derivi più probabilmente dal noto ‘pane arricchito della Festa’, risalente alla tradizione ducale del cosiddetto ‘rito del ciocco’; già intorno alla metà del 1300, tutti i forni di Milano realizzavano un pane a base di frumento, che la sera della Vigilia veniva posto a tavola, anche presso la nobil Casa, dove per l’occasione, veniva fatto accendere il camino con un grosso ciocco di legno al suo interno.
Già dal Seicento, risalgono le prime testimonianze di quello che divenne appunto un dolce decorato con uvetta, ma fu solo della metà dell’Ottocento, il primo utilizzo documentato del primo panetto di lievito e l’entrata, nell’impasto, dei primi cubetti di frutta candita.

Il panettone viene oggi realizzato nella settimana che precede il Natale, ancora secondo impasto e metodi tradizionali di cottura, soltanto dalle pasticcerie più antiche della città di Milano e del Piemonte. Fatta accezione per Castelbuono, dove il noto cuoco pasticcere Nicola Fiasconaro, impiega solo 100 dipendenti per realizzare ben 7.000 pezzi in 15 gusti diversi.
Ma la tradizione castelbuonese del panettone non è recente come si potrebbe pensare. Circa vent’anni fa, Nicola andò a seguire un corso di pasticceria in quel di Venezia; qui conobbe il maestro Busnelli, nipote del capo-canditore della nota ditta Alemagna, che stava spiegando come realizzare il panettone, ai suoi allievi. Immediatamente colpito da quella tradizione, il giovane Fiasconaro drizzò le orecchie e quando tornò a casa, decise di proporne la produzione al padre, nel loro noto laboratorio dolciario artigianale.

Sua fu l’idea, nel 1990, di utilizzare la manna, ovvero la resina del frassino, per la cottura del panettone. Un’idea che venne brevettata immediatamente, e che subito suscitò la curiosità dei noti produttori del tempo, come la famiglia Bauli. Quasi vorticosamente, la produzione prese a crescere: dai vicini paesi delle Madonie, arrivavano quotidianamente persone disposte a voler assaggiare lo strano dolce, realizzato con alcuni degli ingredienti, che vengono utilizzati anche nella tradizione culinaria di Sicilia, come l’uvetta e la frutta candita.
Oggi, quella palla di pasta acida che viene fatta lievitare e rimaneggiata ogni tre ore per ‘tenerla viva’, come si dice in gergo, dà vita, insieme a zucchero, burro di panna e uova fresche, a un’immensa vastità di gusti: si va dai frutti di bosco alle castagne, dalla classica varietà pera e cioccolato a quella più esotica di pesche e ananas, passando per il noto pistacchio di Bronte, prodotto agroalimentare tipico. Una volta cotto e infiocchettato, il panettone siciliano è pronto per lasciare le coste dell’Isola e raggiungere quelle di Giappone e Australia.

Autore | Enrica Bartalotta

Foto: Sito Fiasconaro