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Silvia Salemi rivela il suo dramma: “Ero muta, ecco come ho trovato la voce”

C’è un passato molto doloroso nella storia della cantante siciliana Silvia Salemi. Originaria di Palazzolo Acreide. «Mia sorella Laura, che aveva solo cinque anni, era gravemente malata: leucemia. E proprio quando i miei genitori apprendono la diagnosi definitiva – racconta – mia madre si accorge di essere incinta: nel suo ventre c’ero io. Il medico le consiglia di portare avanti la gravidanza. Avrebbe perso una figlia, ma la vita per fortuna sarebbe continuata con una nuova nascita».

L’artista, originaria di Palazzolo Acreide, ha scritto un libro autobiografico, intitolato “La voce nel cassetto”, in cui spiega: «Io nasco, ma mi metto subito da parte. Era come se avessi detto a mia madre tu fammi nascere e ti assicuro che sarò io a riscattare il tuo dolore: una piccola restituzione in cambio di una terribile perdita».

«Quando mia sorella muore io avevo solo un anno e mezzo e quei pochi suoni che emettevo, come fanno tutti i bambini a quell’età, si bloccano del tutto. Succede che mi chiudo in un mutismo assoluto. I miei genitori non erano in grado di fornirmi quegli stimoli fondamentali nel momento delicato in cui avviene la formazione del linguaggio, una fase importantissima per l’infanzia, in cui un bimbo incamera tutto. Ma io non potevo incamerare niente, dovevo stare zitta, buona, tranquilla in un angolo, non dovevo dare fastidio, non potevo rappresentare un altro problema nella loro elaborazione del lutto».

Silvia però, un giorno apre un cassetto “proibito” e scopre qualcosa di molto importante: «Capivo che là dentro c’era qualcosa di importante, gelosamente custodito da mia madre. Avevo 5 anni e scopro un registratore: vi era registrata la voce della mia sorellina, le sue ultime parole. Lei, che evidentemente sapeva che stavo per nascere ma non sapeva che stava per morire, pur capendo che non ci sarebbe stata più, giocava a lasciarmi una specie di testamento, dicendo: io, Laura, siccome sto per andare da Gesù, lascio a Silvia il mio Pinocchio, la mia bici rossa… Il suo era un gioco con la morte».

«Di nascosto dai miei accendevo il registratore e poi, emettendo dei semplici suoni di lallazione, rispondevo a mia sorella morta e registravo, a mia volta, i miei primi suoni vocali: capivo di avere una voce. Prendevo coraggio, uscivo dal mutismo. D’altronde – riconosce – non avrei potuto fare altrimenti, dovevo farcela da sola, perché i miei, dopo tre anni trascorsi a tentare di curare mia sorella, con me si erano arresi». In prima elementare fa un ulteriore passo avanti: «Dopo aver trascorso un anno, di nascosto, a esercitarmi, finalmente mi convinco che la mia voce non sarebbe più sparita, perché era questo che temevo di più. E un giorno, quando mamma mi porta a scuola e mi saluta dandomi un bacio sulla fronte, le dico ciao mamma. Lei, che praticamente non conosceva la mia voce, resta stordita, mi guarda e scoppia a piangere. Il bidello della scuola, pensando che piangesse perché mi lasciava a scuola, tentò di consolarla, ma le sue erano lacrime di gioia».

La musica diventa una cura: «È stata la mia panacea. Giorno dopo giorno, anno dopo anno, uno studio assiduo, una terapia continua, poi un impegno, e infine un vero e proprio lavoro». A 17 anni Silvia Salemi vince il Festival di Castrocaro,e nel 1997 arriva a Sanremo con il brano «A casa di Luca», che le vale il Premio della Critica. «Sì, oggi posso affermare che è stata una vittoria su tutti i fronti: la mia voglia di riscatto, il mio orgoglio mi hanno fatto vincere. Ma confesso che, a volte, sono stata assalita dall’incubo che la mia voce potesse sparire di nuovo…».

Redazione