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Oggi, 18 giugno, oltre 524.415 studenti italiani hanno affrontato la prima prova scritta dell’Esame di Stato, dedicata alla lingua italiana. Tra le sette tracce proposte dal Ministero dell’Istruzione e del Merito, una in particolare ha catturato l’attenzione per il suo forte valore simbolico: un testo di Paolo Borsellino, intitolato “I giovani, la mia speranza”, pubblicato su Epoca il 14 ottobre 1992. Questo brano, scelto per il tema di attualità (tipologia C), invita i maturandi a riflettere sul ruolo delle nuove generazioni nella lotta alla mafia e nella costruzione di una società più giusta.

Il messaggio di Borsellino: legalità come scelta quotidiana

Nel testo proposto, Paolo Borsellino, magistrato simbolo della lotta alla mafia, assassinato il 19 luglio 1992 nella strage di via D’Amelio, esprime un profondo ottimismo verso i giovani. “Sono nato a Palermo e qui ho svolto la mia attività di magistrato. Palermo è una città che a poco a poco, negli anni, ha finito per perdere pressoché totalmente la propria identità”, scrive Borsellino, descrivendo una città segnata da degrado e dalla presenza mafiosa. Tuttavia, il magistrato sottolinea che “i giovani sono la nostra speranza” perché, a differenza della sua generazione, mostrano una crescente consapevolezza del fenomeno mafioso. “La mafia teme la scuola più della giustizia, perché prospera sull’ignoranza delle persone e sulla cultura del silenzio”, afferma, evidenziando il ruolo dell’educazione come arma contro la criminalità organizzata.

La traccia chiede agli studenti di riflettere, “alla luce delle tue esperienze come studente e come cittadino, sul significato profondo di questo messaggio” e sul suo valore per le nuove generazioni, con la possibilità di articolare il testo in paragrafi titolati e con un titolo complessivo.

Le altre tracce della prima prova

Oltre al testo di Borsellino, le altre sei tracce della prima prova coprono una varietà di temi e tipologie. Per l’analisi del testo (tipologia A), gli studenti hanno potuto scegliere tra una poesia giovanile di Pier Paolo Pasolini, che esplora il rapporto con il tempo e la natura, e un brano tratto da Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, incentrato sul rapporto tra aristocrazia e borghesia. Nella tipologia B (testo argomentativo), le tracce includono un saggio di Telmo Pievani sull’impatto ambientale della “tecnosfera” umana, un testo di Riccardo Maccioni sulla parola “rispetto”, scelta da Treccani come parola dell’anno 2024, e un brano sul New Deal degli anni Trenta tratto da Gli anni trenta. Il decennio che sconvolse il mondo di Piers Brendon. Infine, per la tipologia C, accanto al tema di Borsellino, è stato proposto un testo di Anna Meldolesi e Chiara Lalli sull’indignazione come motore dei social media, che invita a riflettere sull’efficacia dell’attivismo online.

Un esame che coinvolge oltre mezzo milione di studenti

La Maturità 2025 ha visto la partecipazione di 524.415 studenti, di cui 511.349 interni e 13.066 esterni, suddivisi in 13.900 commissioni per un totale di 27.698 classi. La prova di italiano, comune a tutti gli indirizzi di studio, ha una durata massima di sei ore e mira a valutare la padronanza della lingua, le capacità espressive e le competenze critiche degli studenti. Domani, 19 giugno, si terrà la seconda prova, specifica per ciascun indirizzo di studio, con una durata che varia da sei a otto ore, e in alcuni casi, come per gli indirizzi artistici, può estendersi su più giornate.

Il testo integrale

Sono nato a Palermo e qui ho svolto la mia attività di magistrato. Palermo è una città che a poco a poco, negli anni, ha finito per perdere pressoché totalmente la propria identità, nel senso che gli abitanti di questa città, o la maggior parte di essi, hanno finito per non riconoscersi più come appartenenti a una comunità che ha esigenze e valori uguali per tutti. E questo è dimostrato dal fatto che questa città, dove ci sono molte abitazioni, al loro interno ricche e ben curate, ha strade in pessime condizioni com’è facile vedere. E i monumenti, che ricordano il passato regale, sono nelle stesse condizioni di disfacimento. Questa è la situazione in cui Palermo si è venuta a trovare per tante ragioni: perché è stata una delle città più danneggiate dai bombardamenti, e già questo provocò una fuoriuscita degli abitanti dal centro storico, cioè dai luoghi in cui riconoscevano la propria identità. Ma a questa perdita d’identità hanno contribuito anche le attività delle organizzazioni mafiose. Avendo deciso, in un determinato periodo della loro storia, di sfruttare a pieno le aree edificabili attorno a Palermo, hanno fatto sì che anche l’asse geografico della città si spostasse. Molti abitanti del centro storico (e io sono stato uno degli ultimi a lasciarlo) sono finiti in quartieri periferici privi di servizi dove vivono in condizioni di profondo degrado ambientale. Tuttavia a Palermo, dall’inizio degli anni Ottanta e a causa dei gravissimi delitti della guerra di mafia che turbarono ferocemente l’ordine pubblico, e a causa anche del clamore delle inchieste giudiziarie iniziate subito dopo dal pool antimafia, cominciò a crescere una notevole rinascita della coscienza civile. Nel senso che a un certo punto vi è stata una parte della città che si è reinterrogata su se stessa e in qualche modo, talvolta anche un po’ arruffone, ha cercato di reagire. E la maggior parte di coloro che cominciano a domandarsi chi sono, e come debbono portare avanti questa città, sono giovanissimi. E’ una constatazione che io faccio all’interno della mia famiglia, perché sono stato più volte portato a considerare quali sono gli interessi e i ragionamenti dei miei tre figli, oggi tutti sui vent’anni, rispetto a quello che era il mio modo di pensare e di guardarmi intorno quando avevo quindici – sedici anni.A quell’età io vivevo nell’assoluta indifferenza del fenomeno mafioso, che allora era grave quanto oggi. Addirittura mi capitava di pensare a questa curiosa nebulosa della mafia, di cui si parlava o non si parlava, comunque non se ne parlava nelle dichiarazioni degli uomini pubblici, come qualcosa che contraddistinguesse noi palermitani o siciliani in genere, quasi in modo positivo, rispetto al resto dell’Italia.Invece i ragazzi di oggi (per questo citavo i miei figli) sono perfettamente coscienti del gravissimo problema col quale noi conviviamo.E questa è la ragione per la quale, allorché mi si domanda qual è il mio atteggiamento, se cioè ci sono motivi di speranza nei confronti del futuro, io mi dichiaro sempre ottimista. E mi dichiaro ottimista nonostante gli esiti giudiziari tutto sommato non soddisfacenti del grosso lavoro che si è fatto. E mi dichiaro ottimista anche se so che oggi la mafia è estremamente potente, perché sono convinto che uno dei maggiori punti di forza dell’organizzazione mafiosa è il consenso. È il consenso che circonda queste organizzazioni che le contraddistingue da qualsiasi altra organizzazione criminale.Se i giovani oggi cominciano a crescere e a diventare adulti, non trovando naturale dare alla mafia questo consenso e ritenere che con essa si possa vivere, certo non vinceremo tra due-tre anni. Ma credo che, se questo atteggiamento dei giovani viene alimentato e incoraggiato, non sarà possibile per le organizzazioni mafiose, quando saranno questi giovani a regolare la società, trovare quel consenso che purtroppo la mia generazione diede e dà in misura notevolissima. E’ questo mi fa essere ottimista.Mi sono fatto questa convinzione non solo attraverso le indagini sui miei figli, ma anche a seguito di un episodio accaduto qualche tempo fa: una delle macchine che mi scortava, uccise involontariamente due ragazzi davanti ad un liceo palermitano, il Meli (lo stesso che avevo frequentato in gioventù). Questi giovani, che sul momento si erano messi a picchiare coi pugni la mia macchina, quando si resero conto della situazione dimostrarono di capire che quello, purtroppo, era il prezzo da pagare per combattere le organizzazioni mafiose: in quel momento il prezzo era la difesa del magistrato che se ne occupava e la situazione della scorta che, forse inopportunamente correva troppo. Questi giovani mi furono vicinissimi, sollevandomi in parte dalla crisi morale che l’incidente mi provocò. Loro, quei giovani avevano capito appieno qual era la battaglia che si stava conducendo, quali prezzi altissimi si dovevano pagare e quali prezzi bisognava accettare….questo tipo di criminalità non può vivere se non ha un certo rapporto con il potere, che è essenziale alla criminalità mafiosa; ecco una delle ragioni per cui, essendoci questo rapporto, è difficile che il potere si muova globalmente nei confronti dell’organizzazione…Paolo Borsellino…ora rinasce la tentazione della connivenza con la mafia, tentazione durissima da sradicare. Ma i giovani e la popolazione studentesca sono la parte più vicina alla magistratura ed alla lotta contro la mafia: e questo è un punto di non ritorno…“.