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Ricercatore contagiato da virus creato in laboratorio. Un incidente scioccante. Il dramma è capitato a un italiano che lavorava in un importante istituto europeo per la ricerca sull'Aids. Nel 2012, il malcapitato voleva donare il sangue, ma per l'occasione scopre di essere positivo all'Hiv. Nella sua vita non ci sono state situazioni che possano giustificare un contagio, rapporti sessuali non protetti o trasfusioni. L'unico potenziale rischio, per l'appunto, è il lavoro in un laboratorio dove si "costruiscono" virus.

Questo tipo di laboratori è suddiviso in 4 diversi livelli, a seconda della pericolosità degli agenti infettivi. Il paziente lavorava in un laboratorio di livello 2, dove si assemblano porzioni di Rna dei virus per creare modelli da studiare per mettere a punto vaccini, test diagnostici e nuove terapie. Questi virus non sono infettivi. Qualcosa, però, è andato storto al livello 2. Quel nuovo virus assemblato con pezzi di Rna dell'Hiv vero, che non doveva essere infettivo, si è incontrato in laboratorio, con una proteina capace di veicolarlo nelle cellule dell’organismo umano. 

Il virus ha poi colonizzato le cellule del paziente infettato. Forse è accaduto attraverso le vie respiratorie. Forse, appunto. "Il caso ha molto colpito la comunità medica americana perché gli Stati Uniti investono ancora molto nella ricerca sull'Aids e vogliono capire che cosa può succedere – rivela Carlo Federico Perno, professore di Virologia all'Università Tor Vergata di Roma – Da noi non esiste il problema perché i finanziamenti in questo settore sono pari a zero".

Il virus del paziente X al momento risulta sensibile alle terapie. Spiega Andrea Gori, infettivologo all'Ospedale San Gerardo di Monza e professore all’Università Milano Bicocca: "Il paziente zero per i primi tre anni non ha ricevuto terapia – si legge su Adnkronos – ma nel frattempo il virus è diventato più aggressivo e ora si stanno somministrando al paziente i farmaci del caso".