Economia&Lavoro

Da chef Borghese al siciliano Cuttaia: «Non troviamo personale, nessuno vuole stare in cucina»

I grandi chef non trovano personale per i loro ristoranti. Da Alessandro Borghese al siciliano stellato Pino Cuttaia, in tutta Italia la situazione è identica: «Non troviamo più personale, nessuno vuole più stare in cucina».

Gli chef non trovano personale per le cucine

A fotografare la situazione è un articolo del Corriere della Sera. Gli chef sono in cerca di collaboratori, ma non ne trovano, ed è un problema che investe tutta l’Italia. Da Borghese a Cuttaia, da Giancarlo Perbellini a Viviana Varese, da Enrico Bartolini a Davide Oldani

«Sa che cosa è successo lo scorso weekend? Quattro defezioni tra i ragazzi della brigata, da gestire all’ultimo minuto, e nessuno disposto a sostituire. Così a cucinare siamo rimasti io e il mio braccio destro: 45 anni io, 47 lui», racconta al Corsera Alessandro Borghese. Lo chef, nei mesi scorsi, aveva già messo in evidenza questo problema.

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Sulle piattaforme di recruiting si moltiplicano gli annunci con le offerte, ma sono poche le risposte. Secondo i dati Fipe, c’è una carenza di quasi 120mila lavoratori a tempo indeterminato che, in un paio di anni, hanno deciso di cambiare lavoro. Il settore, dunque, vive un rischio concreto.

«Sono alla perenne ricerca di collaboratori, ma fatico a trovare nuovi profili, sia per la cucina che per la sala: non posso non pormi delle domande», continua lo chef Alessandro Borghese.

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Pino Cuttaia: «Non c’è abbastanza formazione»

Una situazione che investe anche la Sicilia. Nei mesi scorsi, un ristorante di Palermo aveva lanciato il suo appello, spiegando che non riusciva a trovare un cuoco nonostante la proposta pubblicata più volte.

Dalle pagine del Corsera, lo stellato siciliano Pino Cuttaia spiega: «Noi c’è abbastanza formazione». Con il suo ristorante “La Madia”, a Licata, Cuttaia ha due Stelle Michelin.

«Può darsi che la penuria di personale sia legata al cambiamento generazionale. Vero è, però, che gli istituti alberghieri non sempre formano e motivano come dovrebbero, con docenti che spesso sono neodiplomati. E noi chef che non siamo abbastanza sul campo, mentre dovremmo entrare nelle classi e fare promozione», dice Cuttaia.

«Passare il messaggio che quello del cuoco è un mestiere vocazionale: in cucina si diventa ambasciatori di un territorio, di una filiera, di una cultura che non ha uguali nel mondo. La nostra testimonianza può fare la differenza e salvare una professione artigianale, sottolineo artigianale, che è vitale per l’intera economia», conclude.

Redazione