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Che il siciliano, così come altri dialetti d’Italia, abbia espressioni molto colorite si sa già. E tra le espressioni colorite, senza dubbio spiccano gli insulti, davvero variegati e fantasiosi, sempre sospesi tra l’innocente volgarità e ciò che invece può essere considerato una vera e propria minaccia, almeno a detta di un giudice in tribunale.

Insomma, bisogna stare sempre attenti a ciò che si dice e a chi, ed è per questo che adesso, chi pratica l’insulto, avrà un ausilio con sé: il libro del cassazionista siciliano Giuseppe D’Alessandro, di Niscemi, Il Dizionario Giuridico degli Insulti (A&B Editrice), che contiene l’elenco di 1200 parole e frasi e 80 gesti che sono stati sottoposti negli anni al vaglio della magistratura, con relative sentenze e conseguenze a cui è possibile talvolta andare incontro. Specie oggi che, grazie anche all’esplosione dei commenti e degli insulti su mezzi quali i social network, pongono nuovi problemi.

Il dizionario di D’Alessandro, opera interessante e divertente, ci aiuta un po’ a capire come è cambiata l'Italia negli ultimi 100 anni e soprattutto a come evitare guai con le parole che, come si suol dire, a volte feriscono più della spada. Si prenda il caso, come si legge sul libro, della frase in dialetto napoletano “A fess ‘e mammeta”: volgare per alcuni, e ritenuta ingiuriosa dal tribunale di Benevento con sentenza del 10 dicembre 2008. E che dire di “Zuzzuso”, termine sempre napoletano che indica persona sporca? Anche questa parola è stata considerata ingiuriosa dal Giudice di Pace di Sala Consilina con sentenza poi confermata in Appello e in Cassazione. Entrambe le suddette espressioni sono esattamente i due estremi del dizionario, dalla A alla Z.

In cui si può trovare anche qualcosa del tipo “Ti rompo le corna”: se qualcuno si rivolge così a qualcun altro, è un’ingiuria o una minaccia? Dipende se si dà rilievo alla parola “rompere” o alle “corna”. E dire a qualcuno “Ti venga un cancro”? Per i giudici è un “evento naturale” e “l’augurio all’altrui sofferenza denota miseria umana, ma non riveste rilevanza penale”. La narrazione è ricca di simpatici aneddoti che sono finiti in aula, come l’uomo che si è beccato la denuncia per aver chiamato il proprio asino col nome del mal sopportato vicino, oppure un altro che ha scritto sulla causale del bollettino per una multa da saldare “Rapina aggravata”, commettendo reato per oltraggio. La lista è lunga. Ma il messaggio è chiaro: occhio alle parole!