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01La letteratura siciliana comprende tutti i testi letterari scritti in lingua autoctona.

Sviluppatasi sin dal XIII secolo e fino ai giorni nostri, è caratterizzata da un’imponente produzione orale e da minori scritti di alto valore letterario.
Le sue antiche origini vedono dunque la nascita presso la cultura di massa, con il personaggio più conosciuto della letteratura popolare: Giufà. Prototipo dell’uomo buono e credulone, Giufà è stato reso famoso da generazioni e generazioni di racconti orali siciliani, che lo vedevano il protagonista di diverse vicende turbinose e peripezie senza fine, ma non iniziò ad apparire nelle testimonianze scritte pervenute a noi, se non dopo il 1845.
Scritti interamente in siciliano furono due ricette, conservate nel codice di guardia di un manoscritto francese. Testimonianza di una cultura letteraria popolare siciliana, che non arrivò a noi prima del Novecento.

I primi componimenti poetici in volgare siciliano risalgono infatti già al XIII secolo, con i lavori della “Scuola Siciliana”, movimento culturale che venne alla luce presso la corte di Federico II. Si trattava di un gruppo di funzionari statali che riprendendo i componimenti dei poeti provenzali, producevano liriche in volgare siciliano aulico. Alla scuola venne attribuito il merito di aver introdotto il sonetto.
Di quella corrente, rimangono solo due componimenti nell'originale siciliano “Pir meu cori alligrari” di Stefano Protonotaro da Messina e “S'iu truvassi Pietati” di Re Enzo, figlio di Federico.
Tra i poeti più famosi si ricorda Giacomo da Lentini, considerato il capostipite della Scuola nonché l'inventore del sonetto, e Cielo d'Alcamo, autore del componimento “Rosa fresca aulentissima” del 1231. Altri noti esponenti della scuola arrivavano da tutta Italia, come Rinaldo d'Aquino e Pier della Vigna, campani, il pisano Jacopo Mostacci, e il piemontese Paganino da Serzana.
A testimonianza della fama raggiunta dai poeti della Scuola Siciliana, furono i molti componimenti tradotti in volgare toscano, subito dopo la distruzione degli archivi siculi ad opera dei francesi. Fu così che Dante Alighieri ne venne a conoscenza, e nel dodicesimo capitolo del primo libro del suo “De vulgari eloquentia”, ne intesse le lodi:

«Il volgare siciliano si attribuisce fama superiore a tutti gli altri per queste ragioni: che tutto quanto gli Italiani producono in fatto di poesia si chiama siciliano; e che troviamo che molti maestri nativi dell'isola hanno cantato con solennità. »

Alla Scuola Siciliana segue un periodo di stagnazione culturale, che caratterizza tutto il Trecento siciliano. In questo periodo, la produzione letteraria ci concentra prevalentemente sulla traduzione di testi religiosi, fatta eccezione per gli exempla del “Factorum et dictorum memorabilium libri IX” di Valerio Massimo, realizzata intorno al 1320, e per la traduzione in volgare siciliano dell’“Eneide”, ad opera di Angelo di Capua.

La ripresa della produzione siciliana si ha con l’opera di Francesco Petrarca, che influenzò enormemente la letteratura siciliana, dando vita ad un vero e proprio petrarchismo dialettale. I primi esponenti di questo movimento furono Vilardo Di Rocco, Matteo Torello e Rocco Corbera.
Sempre del Quattrocento, è un ricettario attribuito a Luca di Silo, un’antologia di testi antichi riguardanti i più svariati argomenti, retaggio di una sapienza antica destinata prevalentemente alla classe medica.

Nel Cinquecento, il petrarchismo siculo prende vita e si amplia ulteriormente arricchendosi di nuovi esponenti quali Girolamo d'Avila, Filippo Paruta, Mariano Bonincontro, ma soprattutto Antonio Veneziano e Bartolomeo Asmundo.
Noto soprattutto per il componimento poetico “Clelia” l’uno e per diverse canzoni a tema sacro e profano l’altro. Di natali catanesi e di origini patrizie, Asmundo fu anche conosciuto per il suo impegno nella riforma degli studi che interessò l’attuale Università di Catania. A detta di molti il primo vero poeta lirico siciliano, Bartolomeo Asmundo fu, assieme al monrealese Antonio Veneziano, il più importante esponente del petrarchismo cinquecentesco.
Parallelamente al petrarchismo, si sviluppa l'opera di Vincenzo Belando, conosciuto per la sua raccolta di testi e poesie indecenti “Lettera faceta e chiribizzosa a la Gratiana, e per alcune commedie.

Il movimento dei petrarchisti si conclude nel Seicento, con le opere di Francesco Balducci e dell'allievo Simone Rau e Requesens, vescovo cattolico nato a Palermo. Le poesie di questo movimento sono raccolte in un centinaio di canzonieri, inclusa l’antologia “Le Muse Siciliane”, che racchiude le liriche di ben 21 autori pubblicate da Giuseppe Galeano nel 1645.
Altri personaggi di spicco del Seicento siciliano furono Tommaso Aversa, che si fece conoscere soprattutto per la commedia “La notti di Palermu” e il poeta di origini catanesi Paolo Maura, autore del poemetto autobiografico “La Pigghiata”.

Periodo florido per la poesia siciliana, fu quello che andò dai primi anni del Settecento fino alla fine del secolo successivo. A Palermo, si affermò la figura del medico-professore Giovanni Meli, che fu il massimo esponente dell'Accademia dell’Arcadia in Sicilia e uno degli autori più prolifici del tempo. Nello stesso periodo, a Catania operava Domenico Tempio, autore di poemetti e poesie satiriche e licenziose. Nell’Ottocento, furono scoperte molte opere della tradizione letteraria siciliana. Racconti, novelle, proverbi e fiabe, sono arrivati a noi grazie al lavoro certosino dello scrittore e antropologo palermitano Giuseppe Pitrè, che nel suo libro “Racconti Popolari Siciliani”, portò alla ribalta la storia del personaggio popolano di Giufà. Nel 1904, l'ex garibaldino Tommaso Cannizzaro pubblicò la sua traduzione in siciliano della “Divina Commedia”. Il suo lavoro continuò con padre Domenico Canalella, che si fece carico della traduzione dell'”Iliade” e dell'”Odissea”.

Fu questo dunque il periodo delle novelle popolari, ma anche del teatro dialettale con l’avvento del Verismo catanese di Giovanni Verga, le opere in siciliano di Luigi Capuana, e dell’agrigentino Luigi Pirandello (tra cui si ricordano “Liolà” e “Pensaci, Giacomino!”), che lo rese il mezzo di espressione preferito dalla letteratura siciliana di inizio Novecento. 
Un mezzo che, anche grazie al lavoro di Nino Martoglio, poeta, scrittore, giornalista e regista, è rimasto all’attivo e portato avanti per tutto il Novecento da autori e scrittori di diversa fama, tra cui Giambattista Spampinato e Alfredo Mazzone che, con il suo ‘teatro di rivivescenza’, si fece primo promotore delle rappresentazioni teatrali delle opere di Giovanni Verga tra gli anni Settanta e Ottanta; opere a cui parteciparono molti noti attori del tempo come Arnoldo Foà, Orso Maria Guerrini e Fioretta Mari.

I primi lavori di Ignazio Buttitta iniziano ad apparire dopo la Prima Guerra Mondiale, il poeta di Bagheria si fece promotore di un intero secolo di storia politica, sociale, intellettuale della Sicilia, attraverso la quasi estinta lingua del posto. Al suo fianco sorsero decine di poeti minori, come il ragusano Vann'Antò e il gruppo dei catanesi Giovanni Formisano, Alfredo Danese, Salvatore Camilleri, Antonino Magrì e Maria Sciavarrello.

Dal Secondo Dopoguerra a oggi la letteratura siciliana riduce notevolmente la sua produzione ma non scompare. Si hanno così le opere di Franco Scaldati, drammaturgo e attore di origini palermitane che, con il suo ‘Teatro all'Albergheria’ fa parlare del suo territorio natìo nel resto d’Italia, coinvolgendolo nella produzione teatrale del tempo. Suoi anche due scritti in lingua siciliana e diversi ruoli d’attore in produzioni cinematografiche siciliane, tra cui ricordiamo “Kaos” dei Fratelli Taviani, “L’uomo delle stelle” e “Baaria” di Giuseppe Tornatore. Lo scrittore più noto del periodo, è sicuramente Andrea Camilleri. Il romanziere di Porto Empedocle è conosciuto al grande pubblico, anche estero, soprattutto per gli scritti che raccontano le vicende dell’amato commissario Montalbano. Camilleri non scrive in siciliano, ma ha coniato un suo linguaggio, molto simile a quello del Verga, che fa uso di sintassi siciliana e di un lessico italiano infarcito di siciliano; il romanzo storico “Il re di Girgenti” è la sua unica opera in siciliano.

Autore |Enrica Bartalotta

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