Certamente un lungo cammino, durato quasi mille anni, senza cambiamenti radicali nella tecnologia produttiva, ma soprattutto in quell’intralcio di rapporti umani e materiali che legava il barone, il signore latifondista, o il ricco proprietario da un lato, e dall’altro quel grande pullulare di vite costituite da villani, borghesi, notai, etc. In una parola, tutta la società attiva dell’epoca.
I mulini versano in uno stato di totale abbandono, e ormai quasi tutti nascosti dalla vegetazione.
Si arriva al mulino di San Giovanni tramite due strade; una è una strada sterrata interna tra i terrazzamenti, l’altro accesso è attraverso la S.S. 136. Il mulino ha una posizione di estrema importanza, in quanto in corrispondenza di esso, vi è una passerella che consente l’attraversamento del torrente di Naso.
Nel cassu, anche se coperta da fanghiglia, si intravede la ruota idraulica, è ancora presente il suo asse.
La macina cosiddetta sottana, la parte fissa, è posta ancora nelle sue posizione originaria, cioè in una parte della stanza di macinazione.
Oltre all’ingresso alla sala di macinazione, vi sono altre quattro aperture: una è l’ingresso ad un’altra stanza, le altre aperture consentivano l’ingresso della luce, ossia le finestre.
Anche se necessitano di urgenti interventi di recupero e restauro sia del mulino che del magazzino, la loro importanza culturale, ha portato la Soprintendenza ha porre sotto un vincolo di tutela l’intero complesso di edifici.
Mi permetto di proporre il riuso di alcune di questa struttura produttiva industriale con la creazione di itinerari culturali che ripercorrano le “trazzere” o strade su un carretto siciliano e che comprenda bagli, masserie, case padronali.
La tutela del patrimonio storico culturale non si attua solamente attraverso intervento di tutela vera e propria, ma anche con il contributo storico divulgativo, con lo scopo di riscoprire e valorizzare un interessante patrimonio storico culturale che rischia di scomparire definitivamente, trasformandosi in semplice leggenda.