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Fra le più importanti espressioni culturali della Sicilia dell’età del bronzo, sono da segnalare le culture di Castelluccio e di Thapsos.

Castelluccio di Noto è un sito archeologico della provincia di Siracusa, della prima età del Bronzo. Il sito venne localizzato dall’archeologo Paolo Orsi che lo datò tra il XIX ed il XV secolo a.C. Il tempo è stato clemente con i castellucciani; oggi infatti, tra Monte Grande e Noto, è possibile ammirare il piano dell’abitato esistente, una sorta di acropoli fortificata, e la necropoli. Numerosi i materiali ceramici esposti al museo archeologico “Paolo Orsi” di Siracusa, oltre a reperti in bronzo e due portelli tombali. Anche nella zona attorno a Ragusa sono state trovate prove dell’attività mineraria dei castellucciani.

L’altro noto avamposto della cultura protostorica italiana, è situato su una delle due penisole della Sicilia, quella che finisce sotto le competenze della provincia di Siracusa: la Penisola di Magnisi, o Thapsos, in greco antico.

«[Thapsos] è questa una lingua che si protende nel mare da uno stretto istmo, e dalla città di Siracusa è poco lontana sia a piedi che per nave.»

Così definì Tucidide, uno dei più importanti siti protostorici siciliani.
Centro nevralgico della cosiddetta Cultura di Thapsos, ovvero un insediamento abitato che si suppone fiorì tra il 1500 a.C. e il 1200 a.C., nella cosiddetta media età del Bronzo. La civiltà di Thapsos si sviluppò in tutta la Sicilia, sebbene i principali centri si trovassero lungo la costa.

Il sito è stato studiato dagli archeologi Saverio Cavallari e Paolo Orsi alla fine dell’Ottocento, a cui poi seguirono gli studi di Giuseppe Voza e Luigi Bernabò Brea negli anni Settanta del Novecento.
Testimonianze dell’antica civiltà di Thapsos sono soprattutto la necropoli con tombe a grotticella artificiale e camere sepolcrali a pianta circolare scavate nella roccia, e l’abitato che occupava l’area circostante l’istmo che collega Thapsos alla Sicilia. Gli scavi hanno individuato le fondazioni di antichi edifici, con grandi capanne circolari e un insediamento con edifici più recenti, a pianta rettangolare, spesso raccolti ad ali intorno ai cortili acciottolati. Il tutto era circondato e difeso da una fortificazione con torri semicircolari.

I reperti trovati negli scavi, sono pressocché di origine egea, e dimostrano i rapporti commerciali tra Micene e la Sicilia. Ulteriori reperti testimoniano anche i rapporti di Thapsos con l’arcipelago maltese. La maggior parte dei ritrovati è oggi esposta al Museo Archeologico Regionale “Paolo Orsi” di Siracusa. Di particolare interesse è la Torre di Magnisi, una struttura circolare della fine del Cinquecento e Seicento. La Torre è stata simbolicamente restituita, nel 2012, al comune di Priolo Gargallo, con una cerimonia alla presenza del Sindaco della città e dell’Assessore ai Beni Culturali, Salvatore Leanza. Molte le personalità, politiche, civili e militari intervenute.

Secondo lo storico greco Tucidide, i greci Megaresi che occuparono il sito, si spostarono da Thapsos per mancanza di cibo e acqua, intorno al 728 a.C, anno in cui fondarono Megara Iblea, altra colonia greca nei pressi di Augusta. Secondo la tradizione, i Megaresi ottennero la terra dal re siculo Iblone. In segno di gratitudine, i coloni diedero alla nuova città, l’appellativo di Iblea. Circa cento anni dopo, gli antenati di quelle terre fondarono Selinunte.

La provincia di Messina s’allunga sul mare con una forma particolare, a ‘falce’:

«Egli molte opere fece a Zanclo, re de’ Siculi, da cu anticamente
ebbe il nome la città di Zancle, che oggi dicese Messene; e
specialmente gli fabbricò con grosse moli il porto chiamato Atte.»

Oggi questa particolare lingua di terra, viene denominata Penisola di San Ranieri. Si pensa che il nome derivi dall’abitazione a uso privato, risalente al XII secolo, di un certo Ranieri.

Secondo la leggenda, la Penisola di San Ranieri è stata creata dalla falce che fece ricadere Saturno sulla terra. In questa piccola striscia di terra i Siciliani edificarono la città di Zancla (che significava appunto falce). La venuta dei Messeni dal Peloponneso segnò però la distruzione di Zancla, e lo spostamento della città dove si trova oggi. La penisola di San Raineri passò successivamente nelle mani di diversi privati. Durante la dominazione araba, prese il nome di Prato o di Isola di S. Giacinto. Occupata Messina, gli Arabi la trasformarono in un Camposanto di pubblica proprietà comunale.
Durante l’epoca normanna, in questa località venne probabilmente costruito il faro, di protezione e aiuto ai naviganti. Poco dopo l’occupazione normanna, i monaci basiliani ivi costruirono un convento ed una chiesa dedicati al SS. Salvatore, accanto alla torre detta poi di S. Anna (del 1090). La torre ricoprì un ruolo importante nella difesa di Messina durante la guerra del Vespro.

Durante le pesti del 1482 e del 1522, la Penisola venne adibita nuovamente a Camposanto e poi a Lazzaretto, per tenere lontani i malati dalla città. Ruolo questo che le rimase congeniale fino alla peste del 1743. Il terrore per i Turchi, portò il Senato a munire la città di grandiose costruzioni militari per difendersi dai possibili assalti.

Primo insediamento della storia messinese, oggi la Penisola di San Ranieri ospita il porto.
Sull’antico mastio, s’ innalza una colonna sulla quale è posta la statua in bronzo dorato della Madonna benedicente. Una stele alta 60 metri su cui è deposta la statua di 6. Opera dello scultore Tore Calabrò, la statua è la riproduzione ingrandita di quella realizzata in argento dallo scultore messinese Lio Gangeri nel 1867. La Madonnina del porto è oggi il simbolo della città di Messina.
Autore | Enrica Bartalotta

Penisola Magnisi, l’antica Thapsos – Foto di Gino Calleri