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01Divisioni geografiche e politiche resero il passaggio dai dialetti alla lingua ufficiale un processo complesso. Grazie a Dante, a Manzoni e alla TV, oggi la lingua e letteratura italiane sono riconosciute tra le più importanti d'Europa ma per gli insegnanti è ancora difficile trovare un equilibrio tra parlato e linguaggio colto 

L'Italia è stata al centro di flussi culturali e punto di partenza di fenomeni universali come la civiltà etrusca, quella romana, il Cattolicesimo, l'Umanesimo, il Rinascimento e il Barocco. L'unità linguistica fu un processo che iniziò con Dante, il poeta che attraverso la sua opera De vulgari eloquentia esaminò le diverse lingue parlate in tutta la penisola e ne analizzò pregi e difetti. In seguito, l’Italiano si sviluppò a partire dal fiorentino, ma Dante nella sua opera loda il siciliano“Il volgare siciliano si attribuisce fama superiore a tutti gli altri per queste ragioni: che tutto quanto gli italiani producono in fatto di poesia si chiama siciliano; e che troviamo che molti maestri nativi dell'isola hanno cantato con solennità” (Dante Alighieri, De vulgari eloquentia).

 

mappa

In questa mappa Dante fornisce esempi concreti delle diverse varietà linguistiche per identificare le caratteristiche che impediscono di identificarla con la lingua ideale

Il dibattito sull’unità della lingua incominciato con Dante continuò, dopo di lui, per secoli con altri poeti e scrittori e divenne una questione politica dopo l’unità d’Italia del 1861. Dante non fu il primo scrittore a porre il problema di una lingua nazionale, ma fu il primo a immaginare delle soluzioni nel suo De vulgari eloquentia, opera scritta in latino durante il suo esilio, intorno al 1304, e diretta ai “dotti”, i letterati di professione. Il De vulgari eloquentia è diviso in 2 libri: il primo libro tratta dell'origine delle lingue e delle loro tipologie storico-geografiche. Il testo affronta il problema della lingua letteraria unitaria. Con la questione della lingua Dante cerca di individuare il dialetto che ha le caratteristiche per affermarsi come lingua letteraria italiana. Dante definisce la lingua volgare un idioma che il bambino impara dalla balia, una lingua che a differenza di quella “grammaticale”, cioè del latino scritto di quei tempi, è nobile poiché naturale, spontanea e non forzata. Ai tempi di Dante, tuttavia, affrontare il problema dell'unità linguistica era impossibile, non solo per via delle divisioni geografiche, culturali e politiche che caratterizzavano l’Italia del Medioevo, ma anche perché l’analfabetismo era altamente diffuso in tutta la penisola e l’istruzione era gestita esclusivamente dalla Chiesa.

L’unità linguistica-culturale del popolo italiano fu oggetto di grande attenzione dal 1868, quando il ministro per l'Istruzione, Emilio Broglio cercò di risolvere il problema creando una commissione di intellettuali presieduta da Alessandro Manzoni. Il romanzo I Promessi sposi di Manzoni e la linguistica del manzonismo dominarono l’insegnamento e l’apprendimento linguistico-letterario in tutti i licei italiani fino agli  Ottanta. Secondo Manzoni i maestri dovevano essere educati e preparati in modo che la scuola divenisse il centro propulsore della crescita della lingua unitaria parlata in tutta la penisola. Dal manzonismo nasce il conflitto tra lingua e dialetto, non solo linguistico ma anche politico. Un conflitto che divenne un problema controverso e discriminatorio perché nel promuovere l’italiano “standard” si eliminava l’uso dei dialetti italiani e si aumentava di conseguenza anche la discriminazione verso coloro che parlavano il dialetto o non capivano l’italiano. L’italiano si è imposto come lingua estranea alle tradizioni locali, limitando l’uso dei dialetti che rimandavano alle culture popolari. Dal 1869, su impulso del Ministro Broglio, Pietro Fanfani diede l'avvio alla pubblicazione della rivista L’unità della lingua.

Oggi l'Italia è nota in tutto il mondo per avere una lingua, una letteratura e una cultura fra le più importanti d'Europa. La lingua italiana è un insieme complesso in cui convivono il linguaggio colto e scritto e l’Italiano regionale parlato o dialetto. La differenza fra la lingua parlata e quella scritta varia in tutta la penisola. Le variazioni tra le lingue parlate e scritte si manifestano non solo in Italia ma in tutte le parti del mondo e per tutte le lingue. L'italiano scritto scolastico è il contrario di quello parlato, poiché i termini dello scritto sono molto lontani dalla realtà linguistica. Sarebbe assurdo se un docente utilizzasse tutta la ricchezza della lingua scritta nel suo insegnamento perché non troverebbe nessun alunno in grado d'intenderlo; semplificare non è facile, per questo l’insegnamento è una professione difficile.

L'Italiano è la nostra lingua ufficiale e abbiamo imparato ad apprezzarne l'uso corretto senza errori o sgrammaticature. Per anni questa lingua è stata parlata più o meno correttamente solo nelle grandi città, mentre nelle aree rurali e nei paesi si parlava il dialetto o una variante della lingua italiana diversa da regione a regione in termini e pronuncia. Per parte sua, l’italiano dotto ha una struttura difficile e quasi tutte le grammatiche scolastiche insegnano una varietà molto diversa da quella parlata, malgrado affermino d'insegnare la lingua per scopi comunicativi. L’italiano colto che s'impara a scuola è in realtà una selezione più semplice del patrimonio della lingua italiana “letteraria”. A fare da legame linguistico interregionale è l'italiano scritto, cioè un insieme di termini “forzati” che con il tempo e con l’aiuto dei mass-media ha fatto del lessico italiano la lingua universalmente compresa in tutta la penisola, anche se questo linguaggio viene spesso considerato generico, freddo e impersonale.

La lingua iniziò ad essere condivisa in tutta la penisola quando molti giovani incominciarono a emigrare dalle campagne alle città e dal Sud al Nord, e grazie all’aiuto della radio, della televisione e della  stampa che contribuirono in modo determinante a creare l’unità dell’italiano parlato in tutta la penisola.

Da: La VOCE di New York