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01Come vediamo l’Italia? E come vediamo il nostro futuro? A dircelo è l’ultimo rapporto del Censis sulla situazione sociale in Italia.

La crisi ha portato gli italiani a sentirsi più “vulnerabili”; il 60% di noi pensa infatti che a tutti possa capitare di cadere in un grave stato di povertà, così determinante da ritenere il contante quale un bene necessario da tenere il più possibile: non si spende e non si investe dunque, ma si cerca di risparmiare al massimo per i probabili ‘giorni bui’.

Per questo motivo infatti, nel 2013 le famiglie italiane hanno di molto ridotto le spese relative ai beni e servizi. Ma non è un discorso che ha a che fare soltanto con lo svago e altri divertimenti come il cinema (il 58% di noi se ne priva) bensì anche con i bisogni superflui come l’andare a cena o a pranzo fuori (il 62%) fino alle normali abitudini alimentari e quelle relative all’utilizzo dei mezzi privati e dunque del carburante (il 44%).

Abitudini da ‘stecchetto’ insomma, che non richiamano soltanto i livelli storici dello scorso anno, ma anche quelli più preoccupanti dei primi anni Duemila.
Dati questi risultati, il Censis ha ipotizzato che siano aumentate le fonti di reddito ‘sommerso’, ovvero di tipo non istituzionale, che dovrebbero giustificare sia la tendenza verso abitudini di vita sempre più restrittive, che la mancanza di tensioni sociali effettivamente significative.

E sullo stesso frangente si allinea anche l’occupazione, con una maggiore risposta verso occasioni di lavoro che solo in parte appaiono essere trasparenti. Ma il sommerso ‘emerge’ soprattutto nella maggior propensione al risparmio degli italiani: sono aumentati i depositi bancari e le polizze vita, questo farebbe pensare che oltre ai tagli a beni e servizi collaterali, vi sia anche un flusso di entrate in nero.

Ma l’inchiesta del Censis non prende in considerazione solo la situazione economica dell’Italia; il 2013 è infatti stato l’anno in cui le nascite hanno toccato minimi storici: solo 514.308 nell’arco di dodici mesi. Un risultato che si riflette per forza di cose sulla situazione economica del Paese, sia in quanto causa che conseguenza: l’85,3% degli italiani ha infatti dichiarato che è soprattutto la difficoltosa situazione reddituale a impedire loro di avere figli.

Una percentuale che tocca il 91,5% se gli intervistati arrivano dal Sud e il 90,6% se si prende in considerazione l’età: i giovani al di sotto dei 34 anni sono infatti quelli che maggiormente risentono della crisi e che per questo sono meno intenzionati ad avere figli.

Il Censis ha inoltre evidenziato come nonostante gli sforzi, l’Italia sia significativamente indietro con l’aggiornamento tecnologico. Il 19% dei cittadini europei tra i 16 e i 74 anni non sa come si usa un computer, una percentuale che è particolarmente distante dai risultati registrati nel nostro Paese: si va infatti dal 23% della provincia autonoma di Bolzano, fino al 48% della Campania; bene la banda larga, un po’ meno l’alta velocità di connessione e gli impianti in fibra ottica.

E sta diminuendo anche la percentuale di giornali che viene venduta ogni giorno nelle edicole.
Con l’avvento di Internet e la minor propensione al consumo, gli italiani non hanno voglia di spendere per acquistare giornali e riviste, eppure la situazione è grigia per tutto il settore media in generale, dunque anche quello online: ben il 47% non s’informa, in alcun modo; solo il 55,1% si affida all’informazione via Internet e solo il 20,8% di questi legge i quotidiani.

La carta stampata ha subìto un ulteriore diminuzione proprio lo scorso anno: sono 4 milioni infatti le copie vendute nel 2013; un record, considerando persino i dati preoccupanti del 1990. Dopo il boom del 2012, Internet sembra essere l’ultimo mezzo sul quale le aziende vogliono investire: la televisione si conferma essere il luogo più utilizzato per fare informazione.

Di contro, il mezzo Internet viene particolarmente utilizzato per l’auto-diagnosi medica: 4 italiani su 10 cercano sul web informazioni riguardanti la salute. Il 58,1, lo utilizza per capire al meglio quanto suggerito dal proprio dottore, mentre il 55,3% vuole saperne di più sulle diagnosi e le prescrizioni, e usa Internet per accertarsi che combacino con quelle del suo medico. Un preoccupante 20,5% invece, contesta al proprio medico diagnosi e terapie sulla base di quanto appreso su Internet, mentre il 18,8% di noi usa Internet come se fosse il proprio medico, e fonda dunque l’utilizzo di farmaci e trattamenti su quanto letto nei siti di informazione e divulgazione di ramo sanitario.

E così come sono diminuiti gli operatori dell’informazione, soprattutto per quanto riguarda il segmento editoriale della carta stampata, sono anche pochi coloro i quali siano impiegati in percorsi di lavoro che abbiano a che fare con la valorizzazione del patrimonio culturale del nostro Paese: in Italia sono infatti 304 mila, ovvero l’1,3% della popolazione occupata, contro quelli presenti nel Regno Unito (755mila) e in Germania (670mila); ma su questo fronte ci superano anche Francia (556mila) e Spagna (409 mila).

Di conseguenza, i ricavi provenienti dal settore della cultura, non sono incoraggianti. Nel 2013, il nostro Paese ha potuto guadagnare solo 15,5 miliardi di euro, contro i 35 miliardi della Germania e i 27 della Francia.
Eppure, nonostante uno sfruttamento inadeguato del nostro patrimonio storico ed artistico, buone notizie arrivano sul fronte del turismo: l’Italia è ancora una delle destinazioni più amate al mondo: sono stati infatti ben 186,1 milioni gli stranieri che hanno visitato il Belpaese nel 2013; 20,7 i miliardi di euro spesi. In ascesa anche il made in Italy: +30,1% registrato tra il 2009 e il 2013; e sono inoltre sempre di più le persone che al mondo parlano la nostra lingua: circa 200 milioni.

Italiani più amati dunque, ma sempre più soli: ben il 47% di noi ha dichiarato di restare solo durante il giorno per una media di almeno 5 ore e 10 minuti. Un risultato che si riflette in un minor scambio e confronto con gli altri, e che si trasforma in un maggior utilizzo dei mezzi di comunicazione virtuale a scopo esibizionistico; il selfie in questo senso è, secondo il rapporto del Censis: «l’evidenza fenomenologica della concezione dei media come specchi introflessi in cui riflettersi narcisisticamente, piuttosto che strumenti attraverso i quali scoprire il mondo e relazionarsi con l’altro da sé».

Autore | Enrica Bartalotta