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Matteo Messina Denaro nascosto dalla 'ndrangheta? "No, non lo escludo. Per quello che è la storia delle mafie penso che nessuno di noi abbia la possibilità di escludere alcunché, proprio perché sono talmente ramificate e strutturate da essere in grado di gestire qualsiasi situazione". Lo ha detto il magistrato della Dda di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, intervistato da Klaus Davi per la trasmissione "Gli Intoccabili". Il magistrato continua la sua argomentazione:

"Altre considerazioni su questo non se ne possono fare, se non dire che la storia criminale della 'ndrangheta in particolare l'ha spesso e volentieri trasformata in un'agenzia di servizi. Detto questo non ci sono elementi investigativi in questa direzione al momento ma, ripeto non è una strada da escludere. Lo Stato deve recuperare il concetto di squadra. Lo sforzo che si fa a livello investigativo deve essere sostenuto da un ruolo autorevole da parte degli altri organi dello Stato e soprattutto da scelte politiche adeguate. Allo stesso modo ritengo che la magistratura sia chiamata a rispettare determinate scelte politiche perché senza questo scambio di collaborazione, che a mio modo dovrebbe essere costante, noi siamo destinati, purtroppo, a arrivare sempre tardi rispetto a quello che è l'enorme velocità dei fenomeni mafiosi".

Giuseppe Lombardo ha quindi raccontato di avere deciso di fare il magistrato "anche se non era questa la mia idea proprio perché vengo da una famiglia di magistrati. Il momento in cui ho cominciato a capire il ruolo vero, perché da studente alle prime armi lo si sa fino a un certo punto, fu l'uccisione di Giovanni Falcone. Fu un primo segnale profondo che mi ha particolarmente segnato. Mio padre conosceva Falcone e quindi io vivevo attraverso lui il dramma di una persona che aveva conosciuto e con cui aveva lavorato. Quando ci sono stati gli attentati del 1993 vivevo a Roma. Sentii con le mie orecchie le bombe di San Giovanni e ancor prima quella in via Ruggiero Fauro. Lì ho capito che non avrei fatto altro. Perché in Calabria? Perché della storia dei miei grandi colleghi palermitani mi ha sempre colpito un dato: che fossero palermitani e quindi avessero la possibilità di comprendere in prima persona una serie di significati che poi vanno oltre le parole".