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«Io sono italiana e vivo in Sicilia; mio marito è in Tunisia, vive e lavora lì per mantenere i nostri figli e perché ha il permesso di soggiorno scaduto, da anni non riesce a rientrare in Italia. Così separati viviamo malissimo, abbiamo 4 bambini, vogliamo che lui rientri. Uno dei nostri figli, dopo le notizie di ieri, non mangia, si è spaventato molto e non è voluto andare a scuola».

A parlare, al telefono con "Chi l'ha visto?" è Beatrice, moglie di Atef Mathlouthi, tunisino ricercato da ieri per una segnalazione su possibili attentati a Roma.

«Ieri è arrivata la polizia; mi è stato detto che mio marito era ricercato a Roma; io due settimane fa sono andata a trovarlo come si vede nelle foto: l’accusa che gli viene mossa è assurda, mio marito non è a Roma», ha aggiunto. Beatrice ha anche accennato a un problema di lavoro tra suo marito e il marito di una donna in Tunisia.

Il legale della famiglia, l’avvocato Cacioppo, ha raccontato al programma Rai che la lettera anonima arrivata all’ambasciata che accusa Atef sarebbe «Frutto di un contenzioso economico con il compagno della signora che ha mandato la lettera. Ma a nostro avviso non ci sono elementi per sostenere elementi del genere, è una accusa infondata. Atef ha sempre seguito le vie legali per ottenere i visti, non si è mai sottratto ai controlli di polizia, non ha nessun aggancio a Roma nè interessi di alcun genere. Proveremo a dimostrare la sua innocenza: si tratta di una accusa ingiusta e diffamante».

«Non sono un terrorista, non sono latitante, la polizia tunisina mi ha interrogato tutto il giorno. Denuncio tutti!»: queste le parole di Atef, rintracciato da "Chi l'ha visto?".