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La Procura di Catania ha aperto un fascicolo sulla morte della 32enne Valentina Milluzzo, deceduta dopo 17 giorni di ricovero all'ospedale Cannizzaro a causa di alcune complicazioni alla 19esima settimana di gravidanza, avviata con la procreazione assistita, avviata in un'altra struttura. La donna era incinta di due gemelli, nati morti. I familiari hanno denunciato quanto accaduto: nella loro ricostruzione dei fatti parlano di un medico che si sarebbe rifiutato di estrarre i due feti, quando sono entrati in crisi respiratoria, perché obiettore di coscienza. 

La vicenda viene raccontata dall'avvocato Salvatore Catania Milluzzo su La Sicilia:

«La signora, al quinto mese di gravidanza, era stata ricoverata il 29 settembre per una dilatazione dell’utero anticipata. Per 15 giorni va tutto bene. Dal 15 ottobre mattina la situazione precipita. Ha la febbre alta che è curata con antipiretico. Ha dei collassi e dolori lancinanti. Lei ha la temperatura corporea a 34 gradi e la pressione arteriosa bassa. Dai controlli – sostiene il legale – emerge che uno dei feti respira male e che bisognerebbe intervenire, ma il medico di turno, mi dicono i familiari presenti, si sarebbe rifiutato». Con la frase che i familiari hanno già riferito ai carabinieri, accorsi in ospedale: «Finché è vivo non intervengo».

E poi che succede? «Quando il cuore cessa di battere – ricostruisce il legale – viene estratto il feto e mostrato morto ai familiari. Due di loro possono avvicinare la donna che urla dal dolore e grida continuamente “aiuto”. Viene eseguita una seconda ecografia e anche il secondo feto mostra delle difficoltà respiratorie. E pure in quel caso il medico avrebbe ribadito che lo avrebbe fatto espellere soltanto dopo che il cuore avesse cessato di battere perché lui era un obiettore di coscienza».

Fin qui l’esposto. «Questa è la prospettazione dei fatti esposta dalla famiglia, che va verificata», sottolineano dalla Procura. Per il direttore generale del “Cannizzaro”, «il decesso è stato determinato da una diffusa sepsi emorragica. I feti erano morti». Angelo Pellicanò confida «nella correttezza dell’operato professionale del personale, che ha garantito l’assistenza».