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01Nato il 19 novembre 1839, Antonino Sciascia, originario di Canicattì, è il padre della fototerapia, ovvero di una tecnica curativa che viene utilizzata, ad oggi, anche per trattare l’ittero nei neonati.

Non fu molto fortunato Antonino Sciascia; nonostante il suo immediato ed appassionato il suo contributo alla scienza, che in poco tempo lo fece conoscere al di là anche dei confini della sua città natale e dell’Isola, non fu lui ad aggiudicarsi il Nobel per la Medicina nel 1903, fu infatti consegnato al rivale danese, Niels Finsen, che iniziò le sue applicazioni della luce solare sul vaiolo, anni dopo la scoperta di Sciascia, il cui brevetto, concesso dal Ministero, risale al 1894.
Oggi, questa tecnica terapeutica, viene utilizzata per trattare svariate condizioni e malattie: dalla psoriasi all’acne, fino al Parkinson, ai disturbi depressivi e del ritmo circadiano.
Sciascia si formò inizialmente in un liceo di Agrigento o di Caltanissetta, e successivamente conseguì la laurea presso l’Università di Palermo, il 19 luglio 1860. Immediatamente, Sciascia si gettò nella professione medica e nei suoi studi sulla fototerapia; nel 1869 conseguì anche la laurea in Chirurgia e solo 23 anni più tardi presentò la sua scoperta al XIII Congresso Oftalmologico di Palermo, che venne pubblicata, sia in Patria che in America, sul “Pacific Journal Medical”.

Principale luogo dei suoi studi, era il suo appartamento nella parte alta del quartiere Badia, perfetto per analizzare gli effetti della luce; qui, Sciascia si dedicò alla costruzione e al perfezionamento del suo fotocauterio un antesignano del cauterizzatore. Lo strumento, in ottone e acciaio con due lenti poste all’interno, uno specchio convesso di ben 60 centimetri e altri vetri piani di diverso colore, era volto inizialmente a misurare e studiare gli effetti della rifrazione della luce. I suoi studi avevano l’obiettivo di dimostrare come la luce, sugli esseri umani come in natura, potesse avere effetti sull’organismo, a seconda della sua applicazione. Sua principale intuizione, fu la convinzione che la luce avesse il potere non soltanto di trapassare la pelle ma anche di penetrare all’interno del corpo fin nelle viscere, provocandone importanti reazioni.
Furono le sue applicazioni, a portarlo alla scoperta annunciata nel 1892; inizialmente utilizzato per trattare patologie della pelle, il fotocauterio venne poi implicato nel trattamento di patologie più interne all’organismo.

Uomo amorevole, dignitoso e di grande nobiltà d’animo, Sciascia era amato ed ammirato da tutti, anche dai colleghi. L’Europa ancora lo snobbava e il grosso dell’Italia, soprattutto le istituzioni governative, non fecero molto per inneggiare e proteggere lo scienziato canicattinese, vero padre dell’elioterapia. Nel 1909 ricevette una piccola parte di riscatto, quando arrivò la nomina a Cavaliere del Regno; l’anno dopo fu insignito del titolo di Commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia, e nello stesso periodo da ogni parte della Penisola provennero lodi e numerosi riconoscimenti: Palermo, Catania, Messina, Napoli, Roma, Bologna, Padova furono le università coinvolte, molteplici anche le prestigiose cliniche.
In occasione dei festeggiamenti messi appunto dalla popolazione canicattinese, per il cinquantenario dalla sua laurea, analoghi riconoscimenti gli vennero tributati da pregevoli riviste del settore, come il giornale medico “Il Policlinico” di Roma, la “Rivista medica” di Milano, “Il Pensiero Sanitario” di Napoli; allo stesso modo, plausi arrivarono anche dall’Ordine dei Medici di diverse provincie italiane, una tra tutte quella di Roma.
Gli studi del dottor Sciascia hanno portato poi allo sviluppo di diverse applicazioni e tecniche terapeutiche: come l’uso dei raggi X in campo medico e la radioterapia.

Non è dunque un caso che presso il Museo di Radiologia dell’Università di Palermo, si trovi custodita la lente biconvessa con cui Sciascia praticava la elioterapia. A lui è intitolato il liceo scientifico della città natìa, e il busto marmoreo che sorge in piazza Vespri. Morì il 12 aprile 1925, a Canicattì.