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Palazzo Chiaramonte Steri, noto come Palazzo Steri o semplicemente Steri, ha saputo conquistarsi un posto tra i luoghi-simbolo di Palermo. Oggi è sede del rettorato dell’università, ma cela un passato oscuro, che scopriremo insieme a breve. Le sue mura racchiudono ben sette secoli di arte e storia della Sicilia: è il primo esempio di stile architettonico “chiaramontano”, risalente all’inizio del Trecento. Il suo aspetto è elegante e solenne, con colonnati e finestre bifore e trifore. La famiglia Chiaramonte volle far erigere un palazzo fortificato (“hosterium magnum”, da cui il nome Steri) sulle terre bonificate di un convento della Kalsa. L’obiettivo era creare una dimora splendida, che simboleggiasse il potere della dinastia. Per la costruzione si seguirono i canoni di una dimora aristocratica, unendo caratteri dell’architettura normanna, gotica e islamica. Il risultato, massiccio e solenne, venne abitato per circa 300 anni, per poi diventare abitazione reale e, nel Seicento, tribunale giudiziario.

L’Inquisizione a Palazzo Steri

Proprio nel Seicento, dopo oltre un secolo nelle mani della reggenza spagnola, ebbe inizio il periodo più oscuro di Palazzo Steri, poiché fu sede del Tribunale dell’Inquisizione. Ospitò un tribunale e una prigione, nei cui ambienti possono ancora vedersi le drammatiche testimonianze di alcuni condannati. Per accogliere le carceri il palazzo fu modificato per fare spazio alle carceri e creare passaggi per raggiungere celle segrete e ambienti in cui gli inquisitori si riunivano. Vi erano anche delle sale per le torture. I documenti antichi portano numerose testimonianze di quel periodo, cui si aggiungono alcune dolorose testimonianze incise sui muri dai prigionieri. Nel 1907, infatti, Giuseppe Pitrè scoprì sotto gli intonaci i graffiti dei carcerati. Ci sono scritte in latino, arabo, giudaico, siciliano e inglese. Vi sono versi, frasi, disegni e simboli di dolore e rassegnazione, ma anche di fede.

Nel corso dei secoli, Palazzo Chiaramonte Steri è stato teatro di tanti eventi storici, dagli spettacoli alle esecuzioni capitali. Vi era qui un patibolo per i condannati “comuni”, oltre allo spazio per i roghi dei condannati dall’Inquisizione. Ad aggiungere ulteriore oscurità alla storia del palazzo ci sono, sulla facciata, i segni delle gabbie nelle quali venivano lasciate esposte le teste dei giustiziati per decapitazione. Erano un monito per quanti fossero intenzionati a tramare contro il regno spagnolo. Dopo essere stato sede del Tribunale e della Dogana, seguì una lunga stagione di abbandono e abusi edilizi. L’edificio fu restaurato negli anni settanta dagli architetti Carlo Scarpa e Roberto Calandra ed è oggi sede del Rettorato degli Università degli Studi di Palermo.

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