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01Gli americani hanno il loro hotdog e noi: pane con le panelle, arancine, pane con la milza, rascature di panelle, muffuletta palermitana, calzoni fritti, cartocci, crocchè, le stigghiola, la frittola, il musso, il carcagnolo, la quarume, ed altre centinaia di portate da mangiare calde e “(s)gocciolose” (perchè anche la maglietta vuole la sua parte).

Insomma. Siamo amanti del cibo e della buona tavola. Non possiamo negarlo. Non con quelle guance pienotte e la bocca unta d'olio, che a stento riesce a stare chiusa.

Tra tutti i cibi di strada siciliani “u pani câ meusa”, che i continentali si ostinano a chiamare “il pane con la milza”, alligna le sue radici nella tradizione palermitana. Si tratta infatti di un piatto esclusivamente locale. E per questo andrebbe pronunciato diversamente. La parola “meusa” la si dovrebbe pronunciare “mievusa”, con un “ie” infinito (“Palermo, la città dei vocalizzi interminabili” – lol).

Ma che cosa è il panino con la milza?


Si tratta di una pagnotta tonda (in dialetto la “vastella”) sopra la quale è spolverato del sesamo. La si apre a metà; si toglie la mollica in eccesso e poi si farcisce con pezzetti di milza e/o polmone di vitello precedentemente bolliti, fatti a pezzetti e poi soffritti velocemente nella sugna.

Ad ulteriore condimento spesso viene aggiunto del caciocavallo grattugiato o del limone o della ricotta. In quest'ultimo caso il pane con la milza palermitano viene definito “maritatu”, che in dialetto starebbe per “sposato”, e cioè che si accompagna a qualcos'altro.

Per realizzare “u pani câ meusa” non serve molto.
Il tipico meusaru (colui che vende il panino summenzionato) abbisogna soltanto di una pentola inclinata, nella quale friggere lo strutto (per tenerlo caldo) mentre in alto la carne attende che l'acquirente si faccia avanti.

Ma quando e come nasce il pane con la milza?

Non vi è nulla di certo, ma sembra che il pane con la milza risalga al medioevo.
A quell'epoca, infatti, gli ebrei palermitani che lavoravano come macellai non potevano percepire del denaro per quello che facevano. Quindi, come ricompensa, pensarono di trattenere le interiora dei vitelli uccisi per poi rivenderli come farcitura assieme al pane ed il formaggio.

A quanto pare il panino che ne venne fuori ebbe una notevole presa sul popolo. Tanto che, quando Ferdinando 2 di Aragona cacciò gli ebrei da Palermo, i caciottari continuarono la tradizione.

Autore | Viola Dante; Immagine | picasaweb