La recente scoperta di un giacimento d’acqua sotto i Monti Iblei, nella Sicilia sud-orientale, ha suscitato grande interesse, soprattutto in relazione al problema della siccità. A parlare dei suoi possibili impieghi, in un’intervista a fanpage.it, è il geologo Lorenzo Lipparini, professore dell’Università Roma Tre e ricercatore dell’INGV che, in collaborazione con l’Università di Malta, è arrivato al ritrovamento di questo esteso corpo idrico.
Lipparini è autore principale dello studio pubblicato su “Communications Earth & Environment“, che ne illustra le caratteristiche. ” (…) Abbiamo analizzato le informazioni disponibili di circa 150 pozzi, in molti dei quali non sono mai stati trovati idrocarburi: tuttavia, riesaminando nel dettaglio quei dati, abbiamo notato che 70 pozzi ci fornivano informazioni robuste sulla presenza di acque sotterranee, sia dolci che salmastre, in una piattaforma carbonatica profonda, chiamata Formazione di Gela. Mettendo insieme tutte queste informazioni, ha preso forma quello che è oggi chiamiamo giacimento di acque sotterranee, la cui salinità aumenta con la profondità ma è molto bassa nella parte più superficiale”.
Si stimano, spiega Lipparini, 17 miliardi di m3 di acqua, di cui però non si conoscono le caratteristiche chimico-fisiche. Ulteriori analisi potranno stabilire se si tratta di acque potabili o se possono essere impiegate per altri usi, “aprendo la strada anche a studi più dettagliati sulla fattibilità tecnico-economica di una possibile estrazione“. Il punto più profondo del giacimento è a oltre 2 chilometri dalla superficie, molto al di sotto dell’attuale livello del mare, ma quello più alto è nella zona di Licodia-Vizzini, a soli 700 metri della superficie. Quest’ultimo “potrebbe essere raggiuto abbastanza facilmente con una perforazione meccanica“.
Qualora queste acque siano buone o possano essere trattate in modo efficiente, potrebbero bastare da sole, per anni “a soddisfare l’intero fabbisogno dell’intera Sicilia“. “Anche se ne estraessimo un decimo, supponendo di attingere all’acqua più dolce in superficie, si tratterebbe comunque di un contributo molto importante che andrebbe ad aggiungersi alla disponibilità di altre acque“, sottolinea ancora Lipparini.
Il geologo spiega anche: “I volumi che noi abbiamo stimato, in maniera conservativa, ci dicono quindi che sarebbe assolutamente ragionevole considerare questo corpo idrico come una risorsa futura, anche se per parlare esattamente del tipo di uso che si potrebbe fare di queste acque o di quanti anni potrebbero effettivamente durare, serviranno studi di fattibilità e approfondimenti di tipo ingegneristico, che consentiranno di capire con quali costi e quali quantità potranno essere portate in superficie”.