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Rita Atria, chi era la testimone di giustizia siciliana

Rita Atria, chi era la testimone di giustizia siciliana che si è uccisa una settimana dopo la strage di via D’Amelio, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della scorta. Biografia, la sua storia, il drammatico suicidio.

Rita Atria

Rita Atria nasce a Partanna, in provincia di Trapani, il 4 settembre del 1974, da Vito e Giovanna. Il padre pastore, proprietario di 7 ettari coltivati a vite e ulivo, apparteneva a una cosca mafiosa del trapanese. Il fratello Nicola, di 10 anni più grande di Rita, appartiene alla stessa cosca.

Nel 1985 Vito viene ucciso e Nicola medita vendetta, cercando di rintracciare il killer del padre. Viene però a sua volta ucciso, nel 1991, quando ha 27 anni. Piera Aiello, la vedova di Nicola, è presente al momento dell’omicidio: denuncia i due killer e collabora con la polizia, abbattendo la legge dell’omertà. Sotto protezione, viene trasferita a Roma.

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È a quel punto che Rita Atria decide di seguire l’esempio della cognata. Si reca in segreto a Marsala e si presenta dall’allora procuratore Paolo Borsellino, rivelandogli tutti i segreti della cosca cui appartengono il padre e il fratello. Inizia a collaborare con Borsellino, figura alla quale si affeziona.

Le sue dichiarazioni portano all’arresto di decine di mafiosi e alla loro condanna. Per questo motivo, riceve minacce e viene trasferita a Roma, sotto protezione e con nuovi documenti. Atria scrive un diario con considerazioni molto personali e sensibili: condanna la cultura mafiosa con forte senso di giustizia e con la speranza che le nuove generazioni possano liberarsi dalla mafia.

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Prima di combattere la mafia devi farti un esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combatterla nel giro dei tuoi amici. La mafia siamo noi e il nostro modo sbagliato di comportarci”, scrive Rita Adria.

Il suicidio

Nel 1992, anno delle stragi di Capaci e via D’Amelio, dopo l’uccisione del giudice Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, purtroppo Rita perde ogni speranza. Il suo sogno di riscatto finisce bruscamente e i delitti hanno su lei un impatto devastante: “Quelle bombe in un secondo spazzarono via il mio sogno, perché uccisero coloro che, col loro esempio di coraggio, rappresentavano la speranza di un mondo nuovo, pulito, onesto. Ora tutto è finito”.

Rita Adria si suicida il 31 luglio del 1992, gettandosi dal quinto piano del palazzo dove l’ha nascosta la polizia, in via Amelia a Roma. Non ha ancora compiuto 18 anni. La sua storia diviene emblematica ed è spesso rievocata in teatro, nei libri, nei film. La giovane e la sua storia rappresentano ancora oggi un simbolo della lotta alla mafia e della volontà di riscatto.

Un esempio di come ci si possa affrancare da qualsiasi situazione e del fatto che si possa scegliere di perseguire la strada della legalità, lottando contro i contesti e le mentalità mafiose. A soli 17 anni ha scelto la morte, compiendo un gesto forte ed estremamente drammatico, come segno di protesta contro i soprusi mafiosi e come testimonianza imperitura della volontà di riscatto di un intero popolo.

Redazione