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10557154_10203676905176965_2545230702837028655_nSe qualcuno chiedesse cosa è la Sicilia, bisognerebbe correggere prima di tutto la domanda: chi è la Sicilia? Perché per quanto morfologicamente definita ‘terra’, la Sicilia è principalmente ‘anima’. Uno spirito di forze misteriose, nascoste nel ventre della sua storia, di cui appena si coglie il bisbiglio nei pomeriggi d’estate. Il silenzio della Sicilia è parola, antica e tenace, ruffiana per chi vuole ispirarsi, permalosa per chi vuole aggredirla. Senza alcuna offesa per chi vi soggiorna, è solo chi nasce in quest’isola che si incrosta il sentimento, si voglia o meno, delle sfumature di una cultura che ha le sue radici negli enigmatici, quanto ancestrali, ventricoli di un cuore millenario. Il battito è sopito, apparentemente assente, scandito dal sonoro frinire di un arido campo di grano. Si sta dormienti, appisolati al ventre di questa madre e matrigna, senza rendersi conto di morire e vivere allo stesso tempo. Nascere e rinascere costantemente, colti dall’infarto di un’emozione che dura drasticamente pochi istanti. Perché quando la Sicilia si mostra, accade d’improvviso e si coglie solo una sfocata sagoma svanire nella notte. Si resta allibiti, candidamente abbandonati al proprio destino da una terra che, dopo aver seguito i propri passi, dopo essersi donata, gelosa e protettiva dei propri figli, diviene assenza e inganno. Si dice, per chi crede, che questo mondo sia di passaggio. La Sicilia si candida spontaneamente a divenire la prima terra di passaggio, la prima maestra a insegnare la caducità dei ricordi. Si nasce e si muore in Sicilia. Poi, viene quel che sarà, oltre i confini, lì dove, voltandosi indietro, si comprende che si è già polvere tra le spighe. 
Sul ‘continente’, così come si chiama in Sicilia tutto il mondo oltre l’Isola, è più facile comprendere questo quadro impressionista. Da vicino i colori sono macchie, coloratissime pennellate. Da lontano si coglie l’integrità. Così, in maniera romantica, potrei immaginare la Sicilia come una donna. Sì, è donna, ne sono convinto. Bella e dai tratti morbidi. Generosa di forme e sensuale. Ci si innamora inevitabilmente: tutti gli ‘stranieri’ ci cascano. Chi vi è cresciuto, invece, sa e conosce quanto possa essere tanto attraente, quanto terribile. Si diventa adulti con la convinzione che si possa chiederle la mano. Errore! Quando sembra che stia per chinare lo sguardo, regge maggiormente la sfida con il sole a mezzogiorno ed è già sentenza. Nostalgico delle imprese dei Paladini di Francia, qualcuno, più coraggioso, vorrebbe risvegliarla con un bacio, riversando in quell’ultimo gesto tutta la speranza di un’attenzione. Le labbra, purtroppo, restano calde, ma non sono animate ed è solo un altro, ultimo, appassionato tentativo sfumato.
Mi perdonerete se, tra le righe, ho malcelato qualche nota storta verso la Sicilia. Se forse ho bandito la tela idilliaca che vuole l’Isola una ‘terra di mare, sole e relax’ tout court o una ‘terra dalla squisita accoglienza’. E’ vero, tanto l’uno, quanto l’altro. Ma è lo stesso sentimento per chi intraprende una relazione da qualche giorno, persuasi dalle prime emozioni. Si resta a bagnarsi del vento caldo e profumato, integralisti nel credere che tutto sarà per sempre. 
Tuttavia, quando il vento si abbassa resta il caldo asfissiante e l’acre odore del bruciato delle sterpaglie. Chi resta lo sa. La relazione non sarà facile, avrà alti e bassi, fino, a volte, alla rottura definitiva. Chi resta sa che l’anello di fede tra sé stessi e la Sicilia è affondare le mani nella terra nera, scavare e seminare. Sudare, arrossandosi la pelle tra le spire della caligine. Imprecare con stizza quando non si raccolgono frutti, ostinandosi a zappare, anche fosse con i denti. 
No, la Sicilia non si comprende, non è possibile. Non c’è risposta alla domanda. La si sente, nel bene o nel male. E’ questione di cuore. Un rapporto sofferente, tra un ‘quanto è bella’ o un ‘quanto è bagascia’, ma che alla fine, quando ogni siciliano sarà sul punto di morire, la ricorderà comunque come ‘la mia Terra’.