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Prima della venuta dei Romani, in Sicilia erano presenti diversi insediamenti: Greci, Cartaginesi, Fenici e autoctoni della Penisola, alcuni dei quali, hanno dato vita a centri importanti, con un commercio e una moneta propria.

Selinunte fu la prima a coniarne, intorno al 530-520 a.C. Il piede monetario utilizzato da Selinunte, cioè il rapporto tra monete prodotte e metallo prezioso utilizzato, è lo stesso di Corinto, a testimonianza dello stretto legame della città greca con la sua civiltà madre.
Come succedeva per le colonie ioniche, anche Selinunte adottò la tecnica dell’incuso: ovvero le sue monete presentavano un’effigie rappresentativa sul dritto: il sedano di Selinunte, la pianta che cresceva spontanea nei suoi territori e che diede il nome alla città, mentre sul rovescio un quadrato diviso in otto sezioni; il quadrato non occupava tutta l’area della faccia, probabilmente rappresentava il punto in cui il metallo veniva spinto sul conio.

A partire dal 461 a.C., dopo un periodo di silenzio di ben vent’anni, la monetazione di Selinunte cambia: d’improvviso, la città greca adotta il piede attico, lo stesso che venne utilizzato anche a Siracusa. Il valore monetario diventa quindi maggiore e cambiano anche i simboli incisi su testa e croce, che questa volta sono distinti: inizialmente, sul dritto, si trovano le rappresentazioni di Apollo e Artemide su una quadriga, mentre sul rovescio la raffigurazione del fiume Selinus nell’atto di compiere un sacrificio; i didrammi invece, ovvero le monete da 2 dracme, raffiguravano Eracle che lotta contro il toro di Creta sul dritto, e la antropomorfizzazione del fiume Hypas di Selinunte, nell’atto di compiere un sacrificio. La città smise di coniare monete all’alba della sua distruzione per mano di Cartagine, nel 409 a.C.

Anche Agrigento si rifà alla monetazione ellenistica, partendo a coniare già tra il 515 a.C. e il 510 a.C. I simboli rappresentati sul dritto e sul rovescio delle monete agrigentine, stavano a rappresentare l’aquila stante, simbolo di Zeus, e il granchio, probabile riferimento ai granchi di fiume che affollavano la zona su cui sorgeva la città. Dopo il 483 a.C., Agrigento smise di battere moneta in quanto, dopo la Battaglia di Himera, cadde sotto il controllo della città greca. La coniazione riprenderà nel 461 a.C., con il piede siracusano del tetradramma. Sono state scoperte anche alcune serie agrigentine con la rappresentazione di due aquile e una preda (al dritto), e al rovescio, il granchio con l’immagine di Scilla.

Dopo il 430 a.C., anche Agrigento inizierà a incidere al dritto la quadriga con Apollo e Artemide, ma nell’esergo, la parte cioè inferiore della faccia di una moneta, verrà rappresentato ancora il granchio. Data l’invasione da parte dei Cartaginesi, la zecca agrigentina inizierà a produrre monete in oro per pagare i mercenari: con quadriga siracusana al dritto e le due aquile con preda al rovescio. La città verrà distrutta dai Cartaginesi nel 406 a.C., ma la coniazione monetaria non si fermò fino a prima del I secolo d.C.: Timoleonte farà infatti coniare monete con piede corinzio, come quelle adottate da Selinunte, a partire dal 341 a.C. Arrivati i Romani, la zecca agrigentina inizierà a produrre solo monete in bronzo.

La città di Gela si avvarrà del piede di Agrigento, quando inizierà a coniare le sue prime monete, attorno al 490 a.C., ovvero il didrammo (8,70 gr.) in due tipi: al dritto inciderà un cavaliere armato, rappresentazione del tiranno Ippocrate, al rovescio un toro con volto umano, rappresentazione del fiume Gelas. Dopo la morte di Gelone (478-477 a.C.), anche a Gela si iniziarono a coniare le 4 dracme siracusane, con al dritto la quadriga, e al rovescio il toro androprosopo.
Al 440 circa risale una serie con al dritto la quadriga e al rovescio il toro incoronato da Sosipoli; probabile conio celebrativo della vittoria delle città greche su Ducezio. Un’altra serie di rilevanza storica della zecca gelese, fu sicuramente quella che rappresentava sul tetradramma, un giovinetto circondato da tre pesci (al rovescio, mentre al dritto la tradizionale quadriga); altra personificazione del fiume Gela, simile a quella della ninfa Aretusa, effigie-simbolo di Siracusa.
Le attività del conio terminarono nel 405 a.C., quando anche Gela venne distrutta dai Cartaginesi.

La città greca di Camarina (colonia siracusana i cui resti si trovano nel territorio di Ragusa), inizia a coniare quasi contemporaneamente a Gela, tra il 490 e il 485 a.C., probabilmente perché in quel periodo si trovava sotto il controllo di Ippocrate, tiranno della città. Il piede delle monete camarine sono dello stesso tipo di Gela ma i tipi differenti: al dritto, era inciso un elmo corinzio al centro di uno scudo, al rovescio svettava una palma nana con due gambali d’armatura, simbolo della dominazione gelese. La città termina la coniazione con la deportazione, da parte di Gelone, dei suoi abitanti; era il 484.

Quasi vent’anno dopo, la zecca di Camarina ricomincerà la sua attività su iniziativa di Gela, che ne propose la ripopolazione. Il piede adottato è quello siracusano; quindi al dritto, le monete di Camarina presentavano la classica quadriga, mentre al rovescio Eracle con leontè, la pelle del leone nemeo accanto alla quale Eracle veniva spesso raffigurato.
Un’altra serie presentava invece la personificazione del fiume Ipparis al dritto, mentre al rovescio la ninfa Camarina su cigno. In questo periodo, la città coniò anche molte frazioni, la litra, ovvero un sesto di dracma, che nella Grecia Antica era sempre realizzata in argento.
L’ultima coniazione risale al 405 a.C.: monete in oro utilizzate per pagare i mercenari, con al dritto l’elmo attico di Atena, e al rovescio due ramoscelli d’ulivo. La città smise le sue attività di conio, proprio in quell’anno, quando a seguito dell’invasione cartaginese, venne distrutta.

Nella zona settentrionale della Sicilia, le città adottavano un piede completamente diverso (di 5,80 gr.), di cui non si conosce l’esatta origine, ma si presume fosse stato ideato per poter commerciare sia con le città greche che con le città autoctone di Sicilia. Fu così dunque per le città di Himera (Termini Imerese), Naxos (Giardini Naxos) e Zancle (Messina).
Himera avviò le attività della sua zecca, non prima del 525 a.C., con la tecnica incusa, che presentava al dritto un gallo, e al rovescio il quadrato incuso. Dopo il 515, anche Himera passò ai due tipi: con al rovescio una gallina.
Con la conquista di Terone, anche a Himera viene adottato il piede agrigentino: il didramma da 8,70, che al dritto conserverà l’immagine del gallo mentre al rovescio farà comparire il granchio, simbolo di Agrigento.

Dopo la caduta del tiranno, nel 472 a.C., la moneta adotterà il piede siracusano; ovvero i tetradrammi con la tipica quadriga, con al rovescio la ninfa Himera in atto sacrificale. In un’altra serie, la ninfa è accompagnata da un satiro che si sta lavando con l’acqua che sgorga da una faccia leonina, simbolo rappresentativo delle terme di Himera. La città terminerà di coniare le sue monete nel 409 a.C., anno in cui venne distrutta dai Cartaginesi.

Naxos inizierà a battere moneta dieci anni più tardi, con un piede di 5,80 gr. dal doppio tipo: al dritto la testa di Dionisio, al rovescio un grappolo d’uva, simboli rappresentativi della produzione vitivinicola che caratterizzava il territorio.
La città smise di coniare quasi subito, per via del suo passaggio a Ippocrate prima e a Ierone di Siracusa poi. Tornerà a coniare nel 461 a.C., quando venne nuovamente ripopolata. Il piede adottato sarà il tetradramma siracusano ma non avrà al dritto la quadriga, bensì la testa di Dionisio con foglie d’edera; al rovescio, sarà presente un sileno, divinità minore dei boschi, con una coppa di vino in mano. Il 403 a.C. fu l’anno della fine delle monete di Naxos, data la sua distruzione per mano di Dionisio I, tiranno di Siracusa.

A Zancle, le attività del conio inizieranno intorno alla fine del VI secolo. I tipi adottati per lo statere sono rappresentati da un delfino entro una falce per il dritto, e dal quadrato incuso ad occupare il rovescio. Zancle fu l’unica città greca ad avere una serie simile a quella delle monete italiote di Sicilia: con dritto e rovescio dello stesso tipo. Quando anche a Zancle si passò al doppio tipo, il delfino fu accompagnato, nel rovescio, dal dio Poseidone.
Nel periodo in cui Zancle fu assediata da Anassilao, tiranno di Reggio, la città si schierò con Siracusa, tanto che anche la sua zecca si trasformò a testimonianza di tale svolta storica, con l’adozione del tetradramma a doppio tipo. In questo periodo, le monete di Zancle presenteranno sul dritto, la spoglia di un leone, e al rovescio la prua di una nave. Nel 489, Anassilao ci riprova, questa volta con successo: il gruppo di Messeni, che da lì in poi diedero il nome alla città così come la conosciamo oggi, portarono alla coniazione di tridrammi dal peso di 17,40 g (5,80 x 3) in cui al dritto vi è la testa di un leone e al rovescio la testa di un vitello.

A partire dal 480 a.C., Zancle inizierà a coniare tetradrammi simili a quelli siracusani: con al dritto una biga di mule, celebrazione della vittoria di Anassilao alle Olimpiadi, e al rovescio una lepre, simbolo del culto introdotto dal tiranno. Questi due tipi resteranno immutati anche dopo al caduta del regime, con la sola aggiunta del delfino nell’esergo, e fatta eccezione per una serie, nota con un solo esemplare, in cui al dritto è rappresentato Zeus, e al rovescio un delfino, una conchiglia e la scritta ‘Danklaion’. Un’ipotesi afferma che questa moneta fu coniata nella stessa Messana, per celebrare la riacquistata libertà; l’altra ipotesi farebbe invece pensare che venne coniata dagli zanclei, nella nuova sede di Mylai. Zancle terminerà di battere moneta nel 396, anno in cui venne distrutta dai Cartaginesi.

Un pensiero a parte lo merita Siracusa, ultima città della Sicilia antica a iniziare un proprio conio, intorno al 510 a.C.
La sua moneta principale fu un tetradramma ateniese con al dritto una quadriga, riferimento all’aristocrazia cittadina, e al rovescio la testa della ninfa Aretusa e la legenda ‘Surakosion’, che dichiarava inequivocabilmente l’appartenenza della moneta al popolo siracusano.
La più nota moneta siracusana fu il demareteion, ovvero una moneta da dieci dracme, coniata in ben pochi esemplari. Fu a esclusivo appannaggio della città, e fu citata sia dal Diodoro Siculo che da Esichio di Alessandria. Molti attribuiscono questa moneta al periodo di Gerone (485-478 a.C.), alcuni invece al periodo successivo alla Battaglia di Imera. I suoi tipi furono unici e particolari: al dritto vi era un auriga con kentron nella mano sinistra, alla guida di una quadriga, accompagnato a destra da una dea Alata della Vittoria con in mano una corona; nell’esergo è raffigurato un leone che corre verso destra. Il rovescio è invece occupato da una testa femminile volta verso destra con una corona di foglie d’alloro tra i capelli; intorno a essa, quattro delfini che nuotano in senso orario, e l’etnico ‘Syrakosion’.
Con la conquista da parte dei Romani, la città iniziò a coniare solo monete in bronzo.

A Occidente erano situate le città elime o puniche, che utilizzarono una monetazione ispirata alle città greche di Siracusa, Agrigento e Selinunte.
Segesta, inizia a battere moneta intorno al 490-480 a.C., adoperando il sistema attico, con un una prima moneta in argento dal valore di 2 dracme e dal peso di circa 8,7 grammi.
Fin dai primordi, i tipi adottati sono: al dritto il cirneco, il cane rappresentazione del dio fluviale Krimisos, simbolo della città, e al rovescio una testa femminile con capelli raccolti e diadema, probabilmente la ninfa eponima Egesta.
Alcuni studiosi hanno avanzato l’ipotesi che il cirneco possa essere il paredro della ninfa Egesta, e quindi che l’intera moneta rappresenti il culto, molto sentito nella città elima, della ninfa. Altri vedono nella figura del cane, molto diffuso nell’agro siciliano, un chiaro riferimento geografico, altri ancora pensano sottenda invece al culto di Afrodite. In queste serie è presente una legenda, ‘Segestazib’, scritta in lingua elima mutuando la forma dei caratteri corinzi, accompagnata in alcuni casi dalla forma verbale Emi, a descriverne l’appartenenza.

Nella moneta frazionaria, quindi di valore minore che Segesta iniziò a battere a partire dal V secolo a.C., vi sono chiari legami della città elima con Erix, la città-santuario.
A partire dall’ultimo quarto del V secolo, anche a Segesta si iniziano a coniare i tetradrammi, con lo stesso rovescio dei didrammi, mentre al dritto compare una figura maschile nuda, affiancata da una coppia di cani. Alcuni studiosi hanno associato anche questa figura alla personificazione del dio Krimisos, altri l’hanno attribuita ad Aceste, fondatore della città, altri ancora al dio Pan, per la presenza di un piccolo corno sulla sua sommità; altri ancora ad un cacciatore.
Nello stesso periodo, Segesta inizia a utilizzare per le sue monete anche il bronzo, disponendo però al dritto la testa di Egesta, e al rovescio il cane, con gobbette puntellate nel metallo, che ne indicavano il valore.
Nel periodo cartaginese (dal 409 al 405 a.C.), i tipi rimarranno pressoché invariati; in alcune serie comparirà la quadriga siracusana, mentre al rovescio ritroviamo la figura maschile coi cani.
Segesta smise di battere moneta nel 397 a.C., con l’arrivo di Dionisio I di Siracusa.
In epoca Romana, la zecca della città riprende la propria attività, che si spegnerà gradatamente e definitivamente, in epoca Imperiale. Con limitate emissioni in bronzo, Segesta produrrà monete la cui più nota è quella con il simbolo di Enea che trasporta a spalla il padre Anchise.

La zecca di Mozia entra in funzione solo a partire dal 430 a.C. circa; adotterà lo stesso piede di Segesta, e due tipi simili: al dritto il cane, al rovescio una testa femminile della ninfa Mozia. In un’altra serie di didrammi vi è un giovane che compie evoluzioni su un cavallo (al dritto); il rovescio rimane invece invariato. Come per Segesta, anche nelle prime emissioni argentee di Mozia rimane valida la legenda etnonima in caratteri greci, mentre in alcune frazioni e nella monetazione seguente, essa ricorre in caratteri punici.
Giunti i Cartaginesi, anche a Mozia si conieranno 4 dracme in argento con il granchio e l’aquila di Akragas, e una testa femminile simile a quella incisa per la rappresentazione della ninfa Aretusa. La città terminerà di battere moneta nel 397 a.C., con la conquista da parte di Dionisio I di Siracusa.

Autore | Enrica Bartalotta