Sei su Telegram? Ti piacciono le nostre notizie? Segui il canale di SiciliaFan! Iscriviti, cliccando qui!
UNISCITI

Il soprannaturale, la magia mera, le potenti forze del male contro quelle, in controtendenza al comune sentire, meno potenti del bene, e terribili segreti e inevitabili perdizioni, miracolose rinascite e malefiche ricadute, gli ingredienti fantastici e a forti tinte noir dei romanzi dello scrittore catalano C. R. Zafòn. Lo stile è semplice e molto scorrevole, le trame avvincenti e spesso vi si trovano dialoghi esistenziali/filosofici di una certa rilevanza. Senza dubbio, lo dimostrano i numeri, tutti questi ingredienti hanno conquistato milioni di lettori in tutto il mondo. Tuttavia parlare di capolavori è finora azzardato.

  Probabilmente Zafòn in futuro lo scriverà il suo capolavoro, ne ha il talento e adesso l’esperienza, ma per ora la sua narrativa non lascia quel particolare retrogusto capace di scendere sottilmente nell’anima del lettore che esige dall’arte un nutrimento durevole. Le opere di consumo sono come i pasti giornalieri: nutrono il corpo per un giorno e in quello successivo è di nuovo affamato. L’anima invece ha bisogno di nutrimento spirituale, e l’opera d’arte è il cibo più idoneo, è nettare, è ambrosia, giacché è la somma di emozioni, sentimenti e idee che metabolizza dopo aver fatto breccia su di essa e l’arricchiscono per sempre. La fruizione di un’opera d’arte entra a far parte indelebile del patrimonio personale dell’individuo. Una narrativa ridondante di irritanti metafore invece, caratterizzata dalla eccessiva meccanicità dell’intreccio, seppur affascinante, e soprattutto carente di personaggi realmente autentici, memorabili e “immortali, spiace dirlo, non sembra lasciare tracce indelebili nell’anima. Le descrizioni di ambienti da incubo, quali la stazione di Jheeter’s Gate e della locomotiva infernale ne “Il palazzo di mezzanotte”, o i mostruosi automi composti da organi umani e stravaganti ingranaggi di ferro ne “Marina” ad esempio, sono arzigogolate descrizioni per mostrare abilmente la raccapricciante realizzazione dell’idea insana e contorta del personaggio folle e diabolico di turno. Nella loro contorta cerebralità e grande inventiva somigliano alle descrizioni tipiche di E. A. Poe e alla sua idea del calcolo narrativo.

  La narrativa di Zafòn magari è qualcosa di più della narrativa di consumo, grazie all’approfondimento dei contenuti sociali, dell’amore e dei sentimenti di amicizia, ma anche qualcosa di meno dell’opera d’arte. Finora l’unico personaggio autentico e memorabile è Fermìn Romero de Torres ne “L’ombra del vento”, più carismatico dello stesso protagonista Daniel Sempere, il quale riappare trasfigurato ne “Il gioco dell’Angelo”. Fra le pagine di questo più recente romanzo si vede tutt’altro personaggio, pavido, timido e persino anonimo: viene infatti menzionato solo come Sempere figlio; mentre il personaggio più vigoroso, Fermìn, stranamente scompare dalla Libreria Sempere & Figli scalzato da Isabella, una ragazzina sveglia, aspirante scrittrice e invaghita di David Martìn il quale invece, per onorare la promessa fatta a Sempere padre che voleva il figlio accasato prima di morire, ricopre anche l’insolito ruolo di un didascalico Cupido fra i due ragazzi. Qui Zafòn, per far risaltare il personaggio Martìn, riduce Sempere figlio dall’eroe del precedente romanzo in un personaggio quasi inetto. Sorridendo mi sorge l’idea che se fosse contemplato dal codice penale, tale “abuso letterario” sarebbe punibile come “Abuso d’Autore e violenza nei confronti della personalità d’un personaggio”. Il successo o l’insuccesso in letteratura però, per fortuna, è decretato solamente dal lettore che a quanto pare non ha voluto affatto sanzionare tali incongruenze letterarie.

  Tranne “Il palazzo di mezzanotte” ambientato in una misera Calcutta, quasi tutti i romanzi di Zafòn sono ambientati in una Barcellona cupa e decadente del primo scorcio del Novecento, descritta spesso, stranamente, umida, sporca, fetida e miserevole. Ambientazione evidentemente adatta per mostrare un’umanità irredimibile e perduta, che vive i propri miserevoli giorni alla disperata e spesso vana ricerca di una redenzione che possa ridare senso e speranza a esistenze e a una società profondamente segnate anche dalla Guerra Civile e da quarantasei anni di dittatura franchista.

  Personaggi negativi provenienti appunto da un’infanzia e da un passato maledetto che segna fatalmente e orribilmente le loro esistenze e il loro stesso futuro, ma anche quello degli altri, della società, dato che niente e nessuno è un’isola e tutto è inesorabilmente legato per una poco conosciuta ma intuibile legge cosmica. Sono  indissolubilmente legati i destini personali e quelli di un popolo, i propositi personali e le speranze collettive. “Grandi speranze” di Charles Dickens, appunto, è il libro preferito del già citato David Martìn, scrittore e protagonista maledetto, suo malgrado, ma positivo del romanzo “Il gioco dell’Angelo”, il quale deve pagare a caro prezzo la sua personale ricerca della verità, come la morte dell’amata Cristina e la lunga scia di altre morti che si lascia dietro nella sua investigazione ad oltranza, e come del resto accade a tutti gli altri personaggi positivi di Zafòn.

  Situazioni tragiche e miseria estrema da cui i personaggi, con tendenze diaboliche o semplicemente più fragili, vittime di un’altrettanto società diabolica e ingiusta, inizialmente tentano di sottrarsi con magnifici colpi di fortuna, intrallazzi vari o grazie al loro ingegno, arricchendosi e ostentando sfarzi incredibili prima della loro  ricaduta, finanziaria ma soprattutto morale. Come la caduta morale e finanziaria del donnaiolo e ricchissimo don Ricardo Aldaya e della sua stirpe ne “L’ombra del vento”, provocata, per una sorta di beffarda legge del contrappasso, dalla tragica scoperta di un’inconsapevole incesto tra la figlia Penelope e lo scrittore Julian Carax, entrambi figli suoi avuti con madri diverse; o l’Ingegnere Lahawaj Chandra Chatterghee ne “Il palazzo di mezzanotte”, dopo il crudele assassinio della bellissima moglie Kylian, il quale, regredendo nella personalità disturbata dell’infanzia, si trasforma in un essere diabolico dai poteri soprannaturali.

  Contro tanta oscurità e dominio del male invece, si stagliano nitidi ed eroici i personaggi positivi che si caratterizzano per la loro ricerca ininterrotta e temeraria della verità, nell’ arduo tentativo di gettare uno sprazzo di luce laddove c’è solo male e oscurità. Sono quasi sempre ragazzi poco più che adolescenti, saggi, intelligenti e animati da sani principi, che lottano con armi impari contro le forze del male più disumane e oscure se non propriamente diaboliche.

  Grazie a loro si respira una boccata di aria fresca, anche fuor di metafora, nell’uscire scenicamente dai luoghi sotterranei di Barcellona. Luoghi oscuri che custodiscono terribili segreti, dove lo stesso lettore sembra affondare in vischiose melme e nel putridume, e dove può perfino respirare i fetori mefitici e spesso “luciferinamente” sulfurei abilmente descritti. L’anima dei suoi abitanti modella l’anima di una città, e probabilmente viceversa; e l’Autore lo sa, cosicché costruisce molto bene l’ambientazione più idonea dove far vivere le personalità multiformi dei suoi personaggi.

  In questi temi ricorrenti, quasi ossessivi di Zafòn, alla fine il bene e la luce trionfano sempre, e meno male!, ma a carissimo prezzo. E’ l’obolo che l’Autore vorrebbe pagare alla realtà. E ancora meno male!, se tutto sommato fosse sempre così, cioè, che il bene trionfi sempre, seppur a caro prezzo. L’importante che rimangano sufficienti eroi in giro, se servono per far funzionare il mondo nel senso della verità e della giustizia.

 

      Angelo Lo Verme