Si chiama CannoloTerapia e ha il vantaggio di contrastare il malumore, la solitudine e l’omologazione ma, soprattutto, di fare recuperare un rapporto sano e sensoriale con il cibo. Franco Neri, titolare insieme ai fratelli Salvatore e Massimo del laboratorio di pasticceria Alfio Neri di Siracusa, l’ha portata fino a Milano.
Neri è specializzato nella produzione di dolci tipici siciliani ed ha già vinto nel 2012 a Rimini il “Sapore Innovation Award”. Nel 2019 la sua pasticceria è stata premiata a Golosaria come una delle cento migliori d’Italia. All’inizio del mese di aprile, ha portato la sua terapia per tre giorni a Milano.
A Vanity Fair Franco Neri racconta: «Il treno della CannoloTerapia viaggia con i suoi profumatissimi vagoni: quelli delle scorze fresche e croccanti, della ricotta lavorata con antica sapienza, della granella di mandorla Pizzuta di Avola, della granella di pistacchio siciliano, delle golosissime arance e ciliegie candite, dello zucchero a velo e, infine, della cannella, assolutamente strategica».
La CannoloTerapia, aggiunge, «Permette, per una piccola porzione di tempo, di rimettersi in pace con se stessi. Attraverso il cibo, uno dei pilastri ancestrali della vita, e nello specifico attraverso la degustazione “slow” del cannolo, vogliamo mettere al centro le persone con il loro gusto e il loro desiderio, aumentando la percezione di quello che stanno degustando».
A incuriosire, sicuramente, è l’utilizzo della parola “terapia”. Una scelta dettata dal fatto che, spiega Neri, «quando si viene ad assaggiare un cannolo la prima cosa da fare è rilassarsi, rallentare il ritmo, smettere di fare le cose e soprattutto di pensarle “di corsa”. Se non si ha tempo a sufficienza o ci si aspetta di poter fare un’esperienza “mordi e fuggi”, meglio rinunciare».
Degustare un cannolo, è un’esperienza che coinvolge i cinque sensi. Si guarda la preparazione, lo si sente tra le mani, si ascolta il rumore della scorza, si gusta e, ancora, si odorano la cannella e gli altri deliziosi ingredienti del dolce. La CannoloTerapia termina in bellezza, perché si assapora un bicchierino di vino moscato.